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Histoires du sport automobile

I PILOTI DELLA TARGA FLORIO


Invité §ami463nV
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Invité §bes888PR

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E ora parliamo di Kinnunen ...

......... Undicesimo ed ultimo giro : Dopo l'arrivo della 908/3 vincitrice, giunge infine Giunti, ma pochi secondi dopo la Ferrari irrompe sul traguardo Kinnunen ; anche il secondo posto, causa i tempi di partenza, è perduto ma con il "camion" 512 è come una vittoria. Kinnunen, proprio nel corso dell'11° giro, alla caccia del secondo posto, stabilisce il nuovo record assoluto della Targa, in 33',36".0 .....

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Invité §bes888PR

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Targa 1970 - Prove ufficiali.

Masten Gregory alla fine del rettilineo di Buonfornello viene raggiunto da Vaccarella col 512 che era partito per "fare il tempo" alle ore 14, al suo terzo tentativo.

Nella fase di un sorpasso che scatenerà polemiche a mai finire, le due vetture si toccano, viaggiano come attaccate per una cinquantina di metri, poi la 33 si impenna intraversandosi e saltando su un muretto ed un terrapieno. Incidente davvero pauroso. Vettura distrutta. Vaccarella prosegue.

Masten Gregory poi arriverà a Floriopoli ospite della De Santis di "Gero" e le cronache del tempo racconteranno di un letteralmente indiavolato M.Gregory alla ricerca ........ fisica di Vaccarella.

 

L'americano sarà "bloccato", non senza una certa fatica, sia dal D.S. Alfa, Bussinello che dal D.T. Ferrari, Ing. Forghieri ......

 

 

 

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Invité §bep134Bm

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“MALGRE’ L’EQUIPAGE” ……

Targa 1962 : Dopo il rovinoso “botto” di P. Hill col Ferrari 268SP n.150 in prove …. con vettura distrutta …. paura di non “concludere” la gara in Casa Ferrari.

Su quella Ferrari 246SP n.152, dopo essere stata “spremuta” da Mairesse e R. Rodriguez con tempi di rilievo sino al 7° giro, sale il “ragioniere” Gendebien che va, per i finali 3 giri, di conserva.

Dirà, forse per battuta ….. o forse no ….., che quella Ferrari 246SP aveva vinto “MALGRE’ L’EQUIPAGE” …. riferendosi alle forzature dei suoi compagni ……

 

Non a caso l’esperto Gendebien, in quegli anni, in casa Ferrari, era considerato un affidabile “test man”.

 

Nella foto alla guida Ricardo Rodriguez.

 

 

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QUESTE IMMAGINI , DA SOLE, RACCONTANO COS'ALTRO SIGNIFICAVA TARGA : CENTINAIA E CENTINAIA DI CHILOMETRI COME IN UN POEMA MUSICALE

..... COME SULLE NOTE DEL BOLERO DI RAVEL .... UN FILO SOTTILE CHE ENTRAVA NELL'ANIMA FINO A POSSEDERTI

 

 

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O L'IMPETO DELLA CAVALCATA DELLE VALCHIRIE DI RICHARD WAGNER

 

 

http://www.mgexp.com/motorsport/historic-cars/images/LBL591E/Targa-Florio-1968.jpg

GRAZIE DON VINCENZO

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Invité §bep134Bm

 

 

COME QUEL "NESSUNO" (SCRITTO TRA VIRGOLETTE) CHE SI CHIAMAVA PASQUALE TACCI....

SICURAMENTE NELLE GARE DI OGGI LA BRAVURA DEL PILOTA CONTA PARECCHIO, MA LA VITTORIA QUASI SEMPRE DIPENDE DALLA DISPONIBILITA' DI MEZZI FINANZIARI CHE PERMETTONO DI COMPRARE LA TECNOLOGIA.

UNA VOLTA NON ERA COSI' ED I SOLDI, IMPORTANTI ANCHE ALLORA, NON ERANO DETERMINANTI E LA CLASSE DI UN PILOTA SPLENDEVA CRISTALLINA, DA PORTOPALO DI CAPO PASSERO (50 KM A SUD DI TUNISI) A VIPITENO, SENZA SE E SENZA MA.

IMMAGINATE COME CI SARANNO RIMASTI MALE QUELLI CHE NELLA AFFOLLATISSIMA TURISMO QUANDO VIDERO DIVENTARE CAMPIONE ITALIANO CON LA FIAT 600 UN TALE TOTO' CALASCIBETTA VENUTO DALLA SICILIA

.... IN UNA CLASSE NAZIONAL-POPOLARE, AFFOLLATISSIMA, CON LA FIAT 600 NON SI VINCEVA CERTO PER CASO....

 

 

"da SICILIA MOTORI"

 

 

http://i1.wp.com/siciliamotori.it/wp/wp-content/uploads/2015/09/calascibetta1.jpg

 

 

 

“Ho lasciato le corse perché avevo appagato interamente le mie aspirazioni. Ho smesso nel 1975 correndo la Targa Florio a bordo di una Lancia Stratos. Quando raggiunsi gli obiettivi che mi ero prefissato è stato naturale ritirarmi, senza rimpianti, soddisfatto di quel che avevo fatto ed ottenuto”.

Il nostro “campione di ieri” , ma non tanto di ieri, per esempio, è stato tra i primi a sponsorizzare le proprie vetture. Lo faceva con marchi di Case che rappresentava; così come è stato tra i primi ad utilizzare il carrello per trainare la propria vettura da corsa. E dire che Calascibetta, prima di approdare alla ricambistica, rappresentava prodotti che nulla avevano a che fare con l’automobilismo: per tradizione familiare lavorava con gli accessori per calzature, ma già nel sangue aveva la passione per le auto.

“Per il lavoro che svolgevo ero costretto a girare la Sicilia in lungo e in largo. Immaginate poi guidare sulle strade siciliane tra ti 1955 e 1960! Guidavo una 500 B con marmitta Abarth e ruote bicolori, macinavo giornalmente centinaia di chilometri e le asperità di quelle strade non hanno fatto altro che affinare le doti”.[h4]SEI MESI DI CORSE[/h4]Insieme a Calascibetta, a destra, si riconoscono, da sinistra, Beppe Virgilio, Scarfiotti, Bandini, Vaccarella

La prerogativa di Calascibetta era quella di gareggiare con vetture che solitamente riuscivano ad imporsi nettamente nella propria categoria, ma anche di tenere testa ad auto di categoria superiore.

“Sono stato tra i primissimi siciliani a correre in tutta Italia. Facevo 18-22 gare l’anno. Sono stato costretto a far così visto che in Sicilia praticamente non avevo più rivaili. Ed allora imbarcavo la mia 600 sul postale per Napoli e iniziavo la “spedizione’ ‘. Subito correvo l’Amalfi-Agerola, poi mi trasferivo nel Lazio per la Vermicino-Rocca di Papa, salivo in Piemonte per la Cesana-Sestriere, Cuneo-Colle della Maddalena, poi nel Veneto per la Trieste-Opicina, quindi nel Trentino per la Trento-Bondone e nelle altre regioni per la Selva-Fasano, Monopoli-Bari, Svolte di Popoli, Ascoli-Colle S. Marco, Coppa della Sila. Tra una gara e l’altra correvo in pista a Vallelunga o a Monza. Concludevo la ‘ ‘spedizione’ , quasi sempre come primo di categoria e molte volte agganciavo l’assoluto, tanto che nel ’62 mi aggiudicai il campionato italiano della montagna”.

D: Ed allora perché non ha tentato con le vetture che esprimevano più potenza?

R: “La mia meta, chiamiamolo pure “sfizio’ ” era quella di inserirmi con piccole vetture tra quelle di cilindrata superiore. Con la 600 e la BMW 700 facevo gli assoluti della turismo dove gareggiavano le Appia, le 1100 TV, le prime 850, le 1000 Abarth. Quando passai all’Abarth con la 1000 Corsa rincorrevo le Alfa Romeo 1600 GTA. Si giocava al gatto e al topo e spesso iI topo ha soprafatto il gatto”.

D: Qual è stato il segreto dei suoi successi?

R: “Curare quanto più potevo personalmente la messa a punto della vettura. Dovendomi spostare sempre non avevo il meccanico al seguito, così imparai da me. Regolavo l’anticipo dello spinterogeno, la carburazione con le eventuali sostituzioni di getti, cicleur, freni d’aria, diffusori e se accadeva qualche cosa di più grosso si trovava un amico che avesse una buona officina’’.[h4]I SUCCESSI CON LA BMW[/h4]

D: Il suo passaggio dalle 600 alle BMW.

R: “Nel ’62 vinsi il campionato italiano della montagna, classificandomi quindi davanti alle BMW che avevano una potenza superiore alla mia 600, la quale poteva sviluppare 42/43 CV. La serie di successi che mi portò alla conquista del titolo tricolore fu per la Casa tedesca e i suoi piloti sempre un mistero che, ad ogni corsa, avrebbe voluto chiarire sottoponendo la mia 600 a verifica tecnica. Dopo i controlli non veniva fuori nulla e loro non si davano pace. Allora mi offrirono una BMW 700 Sport soprattutto per togliersi di mezzo un avversario scomodo che dava quasi sempre 10-12 secondi’’.

D: Ed i successi continuarono.

R: “Certo. Perché alla BMW ho trasferito gli accorgimenti che adottavo nella 600. Mi diedero una vettura elaborata di Michele Scuderi nell’officina di Majolino a Palermo. Quell’anno ho fatto undici gare. Alla prima uscita mi aggiudicai la Selva-Fasano, poi corsi la Vermicino-Rocca di Papa e qui gli altri piloti BMW mi apostrofarono con questa frase: <<finalmente corriamo ad armi pari ». Le presero anche lì. Su undici gare ne vinsi dieci. L’ultima la disputai sul circuito di Monza, facendo un tempo in prova simile a quello di Arrigo Coccheti, pilota monzese in gran voga negli anni Sessanta. In gara lui era in pole position ed io ad 1/10. Uno scarto che Cocchetti non digeriva perché secondo lui significava che conoscevo meglio la pista di quanto non ne fosse padrone lui stesso. Il direttore di corsa diede Il via e arrivammo alla prima di Lesmo affiancati, nessuno voleva cedere. Fu lui a staccare e ad accodarsi. Uscii dalla parabolica con 15 metri di vantaggio, con Cocchetti incavolato; che entrò poi nei box per ritirarsi. Il secondo giro fu quello più veloce, ma al 17° ruppi uno spinotto e vinse Paolini che avevo distaccato di quattro chilometri.Con questa Fiat Abarth 695 Calascibetta ha ottenuto prestigiose vittorie in tutte Italia

Nonostante tutto vollero verificarmi la vettura. Dopo anni ci siamo incontrati con Cocchetti e volle avere spiegato come avevo fatto a dargli 15 metri. La spiegazione era semplice. Lui entrava di 3 a stirata e poi innestava la 4a. lo entravo già di 4a e proseguivo con quella marcia che, avendo una coppia più bassa, esprimeva meglio il motore”.[h4]1965: ANNO D’ORO[/h4]

D: L’anno d’oro, comunque, fu il 1965.

R: “Si, con l’Abarth. Vinsi la « Targa » in coppia con Virgilio nella classe 1300 con una Simos-Abarth e poi la Mille Chilometri del Nurburgring e in Francia la Mont Ventoux. Ma di « Targa », nell’albo, ho altre tre successi di categoria: nel 1963 – sempre con Virgilio – con una Alfa Zagato, nel 1969 con Enzo Ferlito a bordo di una 1000 Abarth Barchetta e nel 1971 con Paolo Monti alla guida di una Opel GT, che sbaragliò le Porsche “.

D: Perchè non è mai passato al professionismo?

R: “Negli anni in cui correvo non esisteva. Ma c’erano anche altri motivi, primo tra tutti il fatto che la mia attività non me lo avrebbe consentito, anche se passavo sei mesi a gareggiare e gli altri restanti li dedicavo all’azienda, eppoi non volevo essere soggetto alle richieste dei costruttori”.

D: Come era da pilota.

R: “Molto misurato, presente alle mie possibilità e a quelle del mezzo meccanico. Ero un pilota di resa, non certamente spettacolare”.

D: Continua a frequentare il mondo delle corse?

“Non più. Conosco molti piloti perché fornisco loro materiale, ma non seguo le gare. Oggi correre è profondamente diverso dai miei tempi, che non sono certamente molto lontani”.

Chiudiamo il colloquio con Salvatore Calascibetta chiedendogli un episodio “simpatico”. Risponde: “Ho saputo che un macellaio di corso Scinà ha perduto chili e chili di carne perché scommetteva contro di me. Ogni lunedì era costretto a rifornire l’altro scommettitore che mi dava vincente”.

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Invité §bep134Bm

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Dedicata a tutti quei piloti che sono stati in Targa con una Lancia Fulvia HF.

 

Le prime in Targa 1966 ..... ma nel 1976 c'erano ancora ....

 

Giacomo Di Maria - Philippe Bruno ( prove ufficiali - bagnato )

 

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DONNE DI TARGA

 

http://illiweb.com/fa/empty.gifOggetto: Intervista a Rosadele FACETTI da "Autocollezioni Magazine - luglio/agosto 2005" http://illiweb.com/fa/subsilver/icon_minitime.gifSab 29 Giu 2013 - 23:49
<hr style="height:0px;border-style:solid;border-right-width:0px;border-bottom-width:0px;border-left-width:0px;" />

Da un’intervista a Rosadele Facetti :

 

Nel 1968 la prima Targa Florio, valida per il Campionato Mondiale Marche, di nuovo fianco a fianco con gli assi della velocità, in una squadra ufficiale e con una compagna dal nome ad effetto ... Pat Moss.

 

Sorella di Stirling, moglie di uno dei più grandi rallisti dell'epoca, Carlsson, Pat era una grande professionista. Mi insegnò molto, mi svelò anche alcuni suoi espedienti.

 

Avevamo a disposizione una Lancia HF 1400, un prototipo sperimentale. I miei compagni erano Sandro Munari e Lele Pinto, su una HF, e poi ancora Claudio Maglioli e Marco Crosina, su una Zagato.

 

Il risultato complessivo di squadra fu stupefacente: Sandro e Lele undicesimi assoluti e settimi nella Classe Prototipi 2 litri, Claudio e Marco quindicesimi assoluti e ottavi di Classe, Pat ed io diciannovesime e none di Classe, sempre nella Prototipi 2 litri, anche se avemmo diversi problemi di raffreddamento e fummo costrette a fermarci ogni giro per il rabbocco dell'acqua.

 

Se dico che grande merito della nostra prestazione fu da ascrivere a Pat, non tolgo nulla alla mia pur buona prestazione. In verità oggi posso anche ammettere che quelle soste continue furono la mia salvezza, una boccata d'ossigeno, specie alla luce del fatto che, appena arrivata in Sicilia, circa tre settimane prima della gara, rimasi atterrita dalla difficoltà del "Piccolo delle Madonie".

 

Settantadue chilometri di curve, tornanti, gomiti, salite, discese ripide, strapiombi.

 

Un'insidia ad ogni metro. Mi dissi che non sarei stata capace di correre lì e pensai che Pat Moss mi avrebbe distrutta.

 

Fu prezioso l'aiuto di Sandro Munari che mi aiutò a mandare a memoria il tracciato. Con la Squadra Lancia avevamo il nostro quartier generale all'Hotel Zagarella, vicino Cefalù.

 

Alla sera c'era una grande atmosfera mondana: modelle, playboy, feste, ricevimenti. Io, invece, restavo in camera a studiare il percorso coinvolgendo la segretaria della logistica Lancia, Maria Luisa Bertoni, cui ripetevo il percorso almeno un paio di volte a sera.

 

_______________________

 

Nella foto proposta quella HF “Proto” mentre si appresta a percorrere la salitella prima dei box di Floriopoli. Quella Pat Moss incuriosì tutti, sia i giovanissimi che gli “anziani” di Targa, che ricordavano le gesta in Targa del fratello, il grande Stirling Moss. In gara Pat era uno spettacolo, con le sue inusuali - allora - traiettorie da rally. Un gran manico … femminile.

 

http://i39.servimg.com/u/f39/18/20/72/79/196_la10.jpg

 

 

http://amicifulvia.forumattivo.com/%3Ca%20href=http://i39.servimg.com/u/f39/18/20/72/79/rosade11.jpg"

 

 

[h1]Pat Moss, lady Rally Champion![/h1]

By Sonia Scozzafava | October 15, 2014

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“Donne al volante, pericolo costante” oppure “donne e motori, gioie e dolori.” Quante volte abbiamo udito questi atavici luoghi comuni che dipingono il gentil sesso come inadatto alla guida? Troppo spesso ci si lamenta delle donne al volante, a causa di una tendenza “total pink” ad ignorare il fascino dei motori. Ebbene, è giunto il momento di sfatare questo mito. Vi dimostrerò infatti che esistono donne che sono riuscite a fare della propria passione per la giuda e per i motori un’arma vincente.

 

 

 

 

Pat Moss (27 Dicembre 1934 – 14 Ottobre 2008) ad esempio è uno dei pochi nomi femminili che è stato capace di lasciare il segno. Una conducente di auto da rally che è riuscita a portarsi a casa ben tre vittorie definitive e sette podi nei rally internazionali. Un nome rimasto scalfito nei libri di storia.

La Moss ha iniziato ad approcciarsi al mondo dei motori sin da piccola. Il fratello Stirling le insegnò a guidare quando aveva appena 11 anni. E così trascorse la sua infanzia a Bray, nel Berkshire tra auto e cavalli. La giovane pilota infatti iniziò la sua carriera sportiva in sella, divenendo un volto noto dello show-jumper e membro del team del salto ad ostacoli britannico.

 

 

 

 

 

Aveva 18 anni quando iniziò a guidare nei raduni e nel 1954 acquistò una Triumph TR2. Come pilota ebbe la sua prima svolta nel RAC Rally del 1958, quando alla guida di una Morris Minor ottenne il quarto posto. Nel 1960 ottenne la vittoria nel Liegi-Roma-Liegi Rally con una Austin-Healey 3000. Nel 1961 raggiunse il secondo posto al RAC Rally, ma ottenne la sua principale vittoria nei Paesi Bassi vincendo il Tulip Rally con una Mini Cooper.

 

 

 

 

 

 

Nel 1963 la Moss si unì all’inglese Ford ottenendo il sesto posto al Rally dell’Acropoli al volante di una Lotus-tuned Ford Cortina. Il 3 marzo 1963 sposò il collega pilota di rally Erik Carlsson. Dopo aver convolato a nozze, la Ford cercò di far firmare a Carlsson un contratto, ma sarà la Moss a partecipare al team ufficiale del marito, la Saab. Nel 1968 la Moss si unì alla Lancia ed ottenne ancora qualche discreto risultato, prima di ritirarsi definitivamente nel 1974.

Una donna decisamente sopra le righe, un personaggio probabilmente unico nel suo stile. Possiamo dunque mettere da parte e superare, definitivamente, i vecchi detti popolari? I motori sono ormai (anche) una questione da donne!

CIAO PAT, GRANDISSIMO PILOTA !!!!!

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Invité §bes888PR

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1964 - Le Cobra alla Targa - Lo chiamarono il secondo sbarco degli americani in Sicilia ..... una spedizione "faraonica" per battere le Ferrari ...5° giro : Floriopoli - quando ancora Ferrari e Cobra erano in gara per il vertice, Carroll Shelby, avendo notato ben 4 meccanici - al posto dei 2 regolamentari - che lavoravano attorno alla GTO di Facetti/Guichet, scatta una fotografia con una macchina a sviluppo istantaneo per presentare formale reclamo ..... non accorgendosi, però, che nello stesso istante attorno alla "sua" Cobra in sosta lavorano già in parecchi ... ; tutto risolto ......

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Invité §bes888PR

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Floriopoli 1968. Primissimo "collaudo" del 910/6 PEGASO sulle strade di Targa ....... pochi i presenti in loco ...... Ignazio Capuano dentro l'abitacolo ed Ignazio Cusimano fuori ........

Carrozzeria ancora "immacolata" nel classico "bianco Porsche".

Una sola piccola nota di colore : l'adesivo della Pegaso già ..... "attaccato" ........

Di lì a poco ..... lo "scruscio" del 910/6 a circuito aperto ...... in mezzo a camion, ape, e magari anche a qualche contadino sul mulo, di ritorno dai campi .....

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Invité §bes888PR

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Ricordo una bella riunione in quel di Alcamo, organizzata dal grande Nino Catalano anche per festeggiare l'80° compleanno del Professore Vaccarella.

Alla vista di questa immagine uno tra i presenti ....... grande Amico ( si dice il peccato ma non il peccatore ) del Professore, se ne uscì con questa frase : " Nino ..... ma cheffà ..... Larrousse "tuppuliava" " ?

Amici ( loro ) da una vita : la battuta ci poteva stare .....

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Invité §bes888PR

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TARGA 1970 : L'Amico Peppe Zambito si "infilò" quasi sino a dentro gli inviolabili locali garage della Squadra J.W.A. , all'Hotel Santa Lucia di Cefalù .... per consentirci di farci vedere, oggi, ......... di quanto i 908/3 NON avessero bisogno, per il loro ottimale assetto aerodinamico in gara, di alcuna significativa "ala" posteriore.

Gli "essenziali" sistemi di regolaggio di quella "bandella" ..... posizionati quasi "a zero" ..... ce lo stanno a testimoniare .....

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Invité §bep134Bm

 

 

 

 

CI SONO PILOTI CHE HANNO FATTO LA STORIA DELLA TARGA E CI SONO TARGHE CHE HANNO FATTO LA STORIA DEI PILOTI E DELL'AUTOMOBILE, DI CASA FLORIO PREFERITA AGLI AGNELLI, DI UNA VITTORIA ALLA TARGA DEL 1913...... LA STORIA INCREDIBILE DELLA TARGA CHE NON FINIRA' MAI DI STUPIRE.

beppe

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NOVANT'ANNI FA NASCEVA LA NAZZARO (nota DI Donatella Biffignandi Centro di Documentazione del Museo Nazionale dell’Automobile di Torino. Si tratta di un testo scritto nel 2001)

Cosa si desidera nella vita: fama, ricchezza, amore, successo? Realizzare le proprie ambizioni, dimostrare al mondo quanto si vale, essere applauditi, riconosciuti, osannati? E soprattutto: quanto può durare? Poco, lo sappiamo: é già tanto arrivare ad un momento del genere. Il momento magico di Felice Nazzaro, grande, grandissimo pilota Fiat e poi costruttore in proprio, durò lo spazio di una corsa, sia pure interminabile come la Targa Florio del 1913.

Fu al termine di quella gara, in cui portò per la prima volta alla vittoria una propria vettura, che Nazzaro pensò di aver raggiunto nella vita tutto quello che desiderava: la fama, la ricchezza, l'amore, la realizzazione del suo sogno. Non sapeva che sarebbe durato poco: ma non sono neanche tanti gli uomini che arrivano a pensarlo. Aspettava quel momento da sempre, fin da quando, ragazzo, si aggirava nell'officina di Giovanni Ceirano, affascinato dal nuovo mostro meccanico di cui tutti parlavano, che sembrava animarsi di vita propria e terribile, e di cui non sognava altro che di sondarne i segreti. Ceirano ben presto lo accontenta, colpito da quel ragazzino magro e di poche parole, dallo sguardo sveglio ed attento. Non si sbaglia: appena adolescente, si rivela un operaio bravissimo, geniale soprattutto nella "mise à point", nella messa a punto dei motori.

Nel 1899, quando Ceirano cede in blocco il suo personale alla nascente Fiat, anche Nazzaro é compreso nel contratto, e Agnelli non se lo lascia certo scappare. Nazzaro ha diciott'anni, Agnelli trenta, il primo di estrazione modesta, destinato tutt'al più a diventare un bravo operaio specializzato, l'altro di famiglia benestante, ufficiale di cavalleria, con un sicuro avvenire da imprenditore, dotato di mezzi e di conoscenze.

L'uno di fronte all'altro, possono essere soltanto datore di lavoro e subordinato, padrone e chauffeur. E così é. Ma lo status di chauffeur é da intendersi in senso ampio: già nel 1900 Nazzaro, di cui Agnelli rapidamente si accorge delle sorprendenti capacità, é nominato "guidatore ufficiale", e partecipa ad alcune gare su vetture della marca torinese. All'indomani però del primo Giro d'Italia del 1901, in cui accompagna in qualità di meccanico il Conte Roberto Biscaretti di Ruffia (vedi Auto d'Epoca di aprile), Nazzaro lascia la Fiat, per andarsene addirittura in Sicilia, attratto dalle proposte dorate di Ignazio Florio (il fratello di Vincenzo), che lo vuole con sé come capo - garage.

Dunque a venti anni, nonostante guadagni già lautamente come uomo e pilota di fiducia di Agnelli, egli decide di mollare tutto e andarsene a millecinquecento chilometri di distanza.

Come non indovinare già allora in questa decisione un segno della sua volontà di "fare da solo", di costruire la propria strada a prescindere dalla Fiat?

La nostalgia di casa, o forse proposte economiche ancora più vantaggiose, prevalgono dopo qualche anno, e Nazzaro torna a Torino, richiamato da Agnelli che lo vuole nella sua squadra sportiva, al fianco di Lancia e Cagno. L'occasione é la Gordon Bennett del 1905: la Fiat vuole cimentarsi con la concorrenza estera, e per farlo ha bisogno degli uomini migliori. I piloti non deludono: Lancia tiene il comando della gara per metà percorso, fino a quando non lo ferma il cedimento del motore, Nazzaro prosegue e arriva secondo. A spronarlo é anche il ricordo dei begli occhi di Carolina, una bellissima ragazza che abita in corso Dante, a pochi metri dalle officine Fiat, che ha appena intravisto da lontano ma di cui si é perdutamente innamorato. Ma è un semplice meccanico, e per tutto il 1906 i due giovani si parlano soltanto con gli sguardi, sotto la sorveglianza stretta della madre che sogna per la figlia qualcuno con una posizione migliore… Felice certo non si rassegna, e presto dimostrerà il suo valore.

Il suo talento di pilota, infatti, esplode di lì a poco, nel 1907. Per conto della Fiat vince tutto quello che c'é da vincere: il 21 aprile, il 14 giugno, il 2 luglio si afferma alla grande nelle maggiori competizioni internazionali, la Targa Florio in Sicilia, la Coppa dell'Imperatore in Germania e il Gran Premio di Francia a Dieppe.

E' il trionfo, suo e dell'industria torinese, e dell'Italia anche, che proprio in quei mesi festeggiava anche la vittoria dell'Itala nel raid Pechino-Parigi. L'Italia dimostra al mondo intero la sua superiorità nella costruzione meccanica e nel valore dei suoi piloti. Di fronte a questa ascesa, arriva il consenso della famiglia della sua innamorata: e i due si sposano nel 1908. Ma Nazzaro sente che non é ancora tutto, che potrebbe arrivare anche oltre. La presenza di Carolina lo sprona ancora di più, se ve ne é bisogno, a realizzare la sua vera ambizione: vincere sì, ed essere portato in trionfo, ma su una vettura sua, non su quella di altri. Neanche a farlo apposta, gli anni successivi sono di stasi per le competizioni sportive, e di riflessione per Nazzaro. Altri piloti Fiat, come Lancia e come Storero, hanno fatto il grande passo: hanno lasciato la casa torinese e le corse, e si sono inventati il mestiere di costruttore.

Perché non tentare, finalmente? Il momento arriva nel 1911. Per fondare la propria casa, e darle il proprio nome, Nazzaro sceglie, forse inconsapevolmente, lo stesso giorno, a dodici anni di distanza, in cui era stata fondata la Fiat: il 1° luglio. Giochi del destino, o precisa volontà di poter finalmente guardare negli occhi, da pari a pari, quell'uomo, Agnelli, che tanto ammirava al punto di volerlo emulare in tutto? La stampa, memore dei grandi trionfi sportivi di Nazzaro, saluta con entusiasmo la nuova impresa.

La composizione dell'organigramma vede attribuita a Nazzaro la direzione delle officine e del collaudo, a Pilade Massuero, suo cognato, la direzione amministrativa, a Maurizio Fabry, la direzione commerciale, e all'ing. Arnaldo Zoller, progettista svizzero che aveva lavorato per qualche tempo alla Fiat, la direzione tecnica. Sede é a Torino, in via di Circonvallazione 554 e 556 (oggi corso Ferrucci), con capitale di 200.000 lire. L'inizio é molto promettente. Le ordinazioni fioccano, attirate dal nome che é diventato famoso in tutto il mondo, e dalla promessa di un prodotto che viene presentato come l'eccellenza della meccanica italiana. Le officine sono costrette, per stare dietro alle ordinazioni, a traslocare nei nuovi edifici di corso Peschiera 250, che si stendono su un'area di 44.000 metri quadri, di cui 15.000 coperti. Al Salon di Parigi e a quello di Londra del 1912 lo stand Nazzaro suscita consensi entusiastici ed ammirati. La vettura esposta ha un motore monoblocco di 100 x 140, con frizione in metallo e amianto, "plancher" in alluminio, ruote d'acciaio Sankey, e la possibilità di installare, con lieve sovrapprezzo, la messa in marcia automatica Cantono.

Fa sensazione vedere che dallo chassis é stato completamente eliminato il legno. Qualche voce si leva a chiedere un modello un po' più accessibile come prezzo, magari più piccolo, ma non si dubita che arriverà anche questo. Quella che arriva, intanto, é la consacrazione sportiva.

Nazzaro non esita ad iscriversi, con la sua vettura, alla Targa Florio del 1913.

Rischia molto, perché la macchina é stata allestita in fretta e provata soltanto nel viaggio di andata da Torino a Napoli, per la prima volta. Ma Nazzaro é troppo convinto che questo sia il momento della verità per esitare, ed aspettare ancora. Si iscrive, insieme a trentasei concorrenti, tra cui Marsaglia su Aquila Italiana, Gloria e Sivocci su De Vecchi, Bordino su Lancia, Minoia su Storero, De Moraes su Fiat ed altri piloti meno conosciuti che corrono su Scat, Renault, Sigma, Ford, Overland. I pronostici vedono Nazzaro come miglior pilota, e Aquila Italiana come migliore macchina. Nazzaro parte quasi ultimo, nell'ora più calda, avendo innanzi a sé ben trentuno concorrenti da rimontare.

Quando prende il via, già sono arrivati i telegrammi con i tempi dei primi partenti (si utilizzava infatti il telegrafo per seguire le fasi della corsa, da una località all'altra) che segnalano il tempo di De Moraes, arrivato a Messina in quattro ore e quarantanove minuti, e quello di Marsaglia, giuntovi invece in quattro ore e trentadue minuti. Nazzaro vi arriva alle tre del pomeriggio, impiegandoci cinque ore giuste. E' la sua consueta tattica: un avvio lento, ragionato, quasi un risparmiare le forse proprie e del mezzo, in modo da avere una buona riserva per scatenare l'attacco quando le energie degli avversari sono allo stremo. A Spaccaforno Marsaglia supera in tromba il primo partente, De Moraes, e arriva primo a Girgenti alle sette e un quarto di sera. Ma dalla schiera di inseguitori emerge inesorabilmente, con una regolarità di marcia sorprendente, Nazzaro. Partito trentaduesimo, é dodicesimo a Siracusa, e secondo a Girgenti: nonostante l'intervallo di ore e le decine di competitori tra le rispettive partenze, ora marciano uno a ridosso dell'altro. A Girgenti era stato deciso dalle autorità di gara che la sosta sarebbe durata, per tutti, cinque ore.

Arrivato alle sette e un quarto, Marsaglia riparte a mezzanotte e un quarto, senza aver riposato un minuto ma avendo assistito all'arrivo di tutti gli altri concorrenti. Deve dunque ripartire nel pieno della notte, per di più con un faro rotto, e guidare nelle ore in cui la stanchezza può diventare invincibile. Nazzaro arriva alle undici e mezza, probabilmente riesce a riposare (è noto per la capacità di schiacciare un sonnellino seduto al posto di guida, anche poco prima di storiche sfide) e riparte alle quattro e mezza, senza troppi scombussolamenti e guidando con le prime luci dell'alba. Da Girgenti a Sciacca, settantadue chilometri, Marsaglia impiega due ore e mezza; Nazzaro, un'ora di meno. E da Sciacca la corsa non ha più storia: il vincitore é Nazzaro, che si classifica primo arrivato in 19 ore e diciotto minuti, seguito da Marsaglia, che impiega venti ore e quarantré minuti. E' questo il momento che vale la sua vita intera. Quando arriva al traguardo, spegne il motore e alza gli occhi, sa di aver riscattato per sempre il suo passato di uomo al servizio di altri. Non é più solo un bravo meccanico, un grande pilota, un buon collaudatore. E' Nazzaro, e il suo nome indica non soltanto se stesso ma anche ciò che ha costruito con le sue mani. E' entrato a far parte della storia, come Nazzaro, e non portando al trionfo la creazione altrui. E accanto a sé ha Carolina, a cui può offrire gloria e ricchezza, e a Torino lo aspetta la "sua" fabbrica, e la gente lo applaude, lo osanna, lo acclama.

E ha solo trentadue anni, é ancora giovane, chissà cosa gli riserva ancora l'avvenire... Tutto questo pensa, tutto insieme. Lasciamolo immerso nella sua felicità, e nella convinzione che l'avvenire sarà ancora meglio. Non sarà così: perché la guerra costringerà la Nazzaro, come tutte le fabbriche automobilistiche, ad una impegnativa conversione alla produzione militare, ad una ancora più rigorosa gestione, ed é questo il punto debole dell'azienda. Al di là dell'effettiva qualità del prodotto (durante il primo anno di guerra, il 1915, la Nazzaro diventa fornitrice del Regio Esercito di camion e di motori Anzani di aviazione), manca un'adeguata capacità commerciale. Nazzaro é costretto a chiudere, nel 1916, per poi tentare ancora con la rifondazione della fabbrica, a Firenze, nel 1919. Ma si capisce fin dalle prime battute che non durerà a lungo neanche questo secondo tentativo, tanto che nel 1922 Nazzaro firma con la Fiat un contratto in cui si impegna a partecipare con due vetture della casa torinese ai Gran Premi di Francia e d'Italia, pur proseguendo nella sua attività di costruttore. Agnelli conosce troppo il suo valore di pilota per non cercare di legarlo ancora ai destini della Fiat. Il suo ritorno nella squadra non ha certo il sapore della sconfitta: é accolto con commozione, rispetto ed ammirazione, non manca uno "champagne d'onore" in cui riceve mazzi di fiori, applausi ed incoraggiamenti da compagni vecchi e nuovi. Hanno ragione di festeggiarlo: vincerà ancora, con la consueta sicurezza e maestria, al Gran Premio di Francia di Strasburgo (ma non é una gara felice, perché vi perde la vita il nipote di Nazzaro, Biagio, che ne stava seguendo le orme). L'anno successivo, il colpo definitivo: la moglie muore in un incidente di macchina, un'Itala guidata da amici. Per tutta la vita Felice le aveva ingiunto di non salire mai su un'automobile se non fosse stato lui alla guida: un presentimento, uno scherzo atroce del destino. Per cosa combattere ancora, a quel punto? Nazzaro liquida anche l'azienda di Firenze, e ritorna definitivamente alla Fiat, e a Torino, insieme alla figlioletta di appena cinque anni, Gilda. Non sappiamo se sia stato un ritorno melanconico: forse sì, certamente un ritorno dominato dall'immensa assenza della moglie, dalla sensazione che non importi più il farcela o non farcela.

Ma per chi lo ricorda Nazzaro é quell'uomo vittorioso in Sicilia, che alza gli occhi e sorride.

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Invité §bes888PR

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Per gli appassionati di ...... allora ...... assicurarsi una copia del "Numero Unico" era un classico.

La conservazione del .... "feticcio" ....... Emoticon smile

 

E sempre una (scontata) costante : erano ovviamente pieni di immagini delle Targa Florio passate .....

 

Eccezione - credo unica - nel Numero Unico della Targa 1970 : al suo interno anche alcune immagini dei 908/3 della J.W.A. / GULF ibridi TCAR scesi in Sicilia per i test privati di Casa Porsche nel marzo 1970 ( la gara a maggio ) ...

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Invité §bep134Bm

Un grandissimo campione Alberto Ascari

CHE FOSSE UN GRANDISSIMO CAMPIONE NESSUNO LO DUBITA.

ENZO FERRARI COSI' LO DESCRISSE;

 

“Ascari in testa era difficilmente superabile: oserei dire ch’era impossibile superarlo…relegato in seconda posizione o più indietro, non era il combattente che io avrei desiderato di vedere in certe occasioni. Non perché disarmasse, ma perché quando doveva inseguire e doveva superare l’antagonista evidentemente soffriva non di un complesso d’inferiorità ma di un nervosismo che non gli consentiva di esprimere la sua classe. Per Ascari valeva proprio l’opposto della norma: di solito infatti il pilota che si trova in prima posizione è preoccupato di mantenerla, si può distrarre nel controllare la situazione dietro a lui, studia il proprio passo, è spesso incerto se spingere o no; Alberto invece si sentiva sicuro proprio quando faceva la lepre; in quei momenti il suo stile diventava superbo, e la sua macchina imprendibile” (Piloti che gente, Conti Editore 1985)

 

CI HA TENTATO, MA LA SICILIA PER LUI E' STATA AVARA DI SODDISFAZIONI.

LA TARGA FLORIO DEL 1940 (SVOLTASI ALLA FAVORITA, ULTIMA SUA GARA PRIMA DELLA GUERRA) LO VIDE ALLA PARTENZA MA DOVETTE RITIRARSI.

 

 

targaflorio1940 Ascari 28.jpg

 

ED ALTRETTANTO POCO FORTUNATE FURONO LE SUE PARTECIPAZIONI AL GIRO DI SICILIA

UN INCIDENTE NEL 1948 CON LA MASERATI

 

 

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30° NEL 1950 CON LA FERRARI

 

 

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457 Ferrari 195 S  A-Ascari - E-Salami (5).jpg

MA CERTE VOLTE, LE CONDIZIONI DELLA MACCHINA PARLANO DA SOLE: NON E' STATA UNA CORSA MA UN AUTENTICO COMBATTIMENTO

beppe

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Invité §bes888PR

Cari Amici di Targa,

 

 

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Ancora nel 2011 “Dodo” Baggio dall’Inghilterra, tramite sua moglie Polly che scriveva al PC, continuava ad inviare mail che definirei “elettrizzate” / “elettrizzanti” , tanto trasudavano di entusiastico stupore ed al tempo piacere nel trattare e ricordare di “Targa Florio” ……..

 

Nella mail iniziale, come già scritto, “Dodo” raccontava di una curiosa storia di Moss che era riuscito a girare in prove, sulle strade di Targa, con una normale Fiat 1100, in compagnia di un fotografo per un servizio giornalistico/fotografico, e questo dopo un iniziale diniego da parte dell’A.C. Palermo, successivamente rientrato a seguito di una sorta di “ribellione” da parte degli altri piloti.

 

“Dodo” chiaramente riferiva l’episodio raccontato all'anno 1963 ma all’inizio, devo ammetterlo, ero rimasto (stupidamente) un attimo perplesso, alla luce del fatto che nel ‘63 Moss non corse, in Targa.

 

Ma la mie perplessità erano assolutamente malriposte.

 

Infatti, nell’Archivio di Targa 63, nella cartella “Floriopoli”, ho trovato l’immagine di un Moss con barba, in compagnia di Bonnier, e la foto era certamente riferita al 63, e l’abbigliamento di Moss non era per nulla da “driver” ….. come ben visibile ….

 

 

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Insomma, Moss era presente in Targa ‘63 ….. non come pilota, ma verosimilmente come giornalista ; era il suo periodo di “fermo” dopo il terribile incidente di Goodwood del 1962 ……. e Lui fu in Targa da spettatore/reporter, come lo fù anche in altre gare, quell’anno.

 

 

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“Dodo”, quindi, ricordava BENISSIMO ……

 

 

E Polly, infatti, continua :

 

17/11/2011 16:56

 

“ …… I have now got better facts of the story of Strerling Moss and the Fiat 1100.

 

Stirling had his bad accident at Goodwood in April 1962 and was in a coma for one month and then very ill for many months. He wanted to drive BUT NOT RACE, around the Targa Florio with a photographer in his hired Fiat 1100 during the practice and when the powers in charge decided he was maybe not fit to do so - most of the main drivers said then they would not race unless he was allowed to drive with the photographer.

 

He was allowed to drive and the others were free to race !

 

Dodo says that while Sterling Moss was driving in the Fiat 1100 it was Dodo behind him and Bandini a long way in front – going down towards the Buonfonello straight, coming down from Collesano.

 

This was in practise and even so, Moss was on two wheels at times while the photographer was trying to take pictures….. “.

 

 

* * *

 

Insomma, una storia semplicemente meravigliosa.

 

Penso al giornalista dentro quella Fiat 1100 condotta da Moss …… alle prese con le foto da fare per il servizio…… Fiat 1100 spesso non esattamente su quattro ruote, e tutto questo in mezzo ( anche ) alle altre vetture da gara che nel frattempo giravano in prove libere alla grande ……. e tra le altre ….. anche la Etype di “Dodo” (che vide le scene) e la Ferrari Dino196SP di Bandini ….. tra Collesano …… Buonfornello e quant’altro ….

 

E finisco questo post al pensiero di un pilota privato come “Dodo” che si ritrovava - da protagonista tra protagonisti d’eccellenza - in mezzo a quegli episodi “epocali” ….. di Targa.

 

 

Lo invidio.

 

 

Best54

 

 

Grazie “Dodo”, grazie Polly. :jap: :jap: :jap:

 

 

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www.amicidellatargaflorio.com

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Invité §bep134Bm

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MA QUANTI SONO I PILOTI SICILIANI CHE HANNO PARTECIPATO ANCHE ALLA 24H DI LE MANS ?

TRA QUESTI C'E' VITO VENINATA DA RAGUSA CHE HA UN CURRICULUM CHE NON HA BISOGNO DI COMMENTI.

 

 

General figures:

Data covers years:1973-1974, 1976-1981, 1987-1989, 1991-1992, 2000
Number of events:53 (including 3 races where did not start)
Total entries:53 (contains 35 finishes and 15 retirements, finishing ratio: 70%)
Photos in Gallery:10 (18% of all entries)

Achievements:

Wins:0Additional class wins11
Second place finishes:1Top 3 finishesnot applicable
Third place finishes:0Races finished on podium1
Best result (count):2nd (1x)Pole positions0

Notes of interest:

Most frequent co-drivers:Pasquale Barberio (11), Ranieri Randaccio (8), Stefano Sebastiani (5), Giovanni Cascone (5), Maurizio Gellini (3), Armando Floridia (2), Giuseppe Iacono (2), "Perrier" (2), Vincenzo Ferlito (1), Antonio Bono (1), Rosario Iaquinta (1), Renato Cita (1), Giovanni Iacono (1), "King" (1), Gaetano Lo Jacono (1), Robin Smith (1)
Most frequent makes:Osella (24), Tiga (18), Chevron (7), Sighinolfi (1), March (1), Lola (1), AMS (1)
Most frequent types:GC288 (13), PA6 (8), B36 (5), GC85 (5), PA7 (2), T292 (1), B26 (1), B23 (1), 75S (1), 273 (1), 1999 (1)
Most frequent chassis:PA6-068 (16), GC288-365 (9), PA8-092 (7), GC85-279 (5), GC288-366 (4), B26-74-04 (1)
Most frequent tracks:Vallelunga (10), Pergusa (10), Monza (5), Targa Florio (4), Varano (3), Magione (3), Jerez (2), Le Mans (2), Nürburgring (2), Mugello (2), Spa (2), Brands Hatch (2), Thruxton (1)
Most frequent countries:I (37), GB (4), E (3), F (2), D (2), B (2), ZA (1), J (1), CS (1)

 

 

19740182.jpg.7b90e2b5803cb158498d3df36bc7fdb2.jpg

 

http://www.targapedia.com/album_targa_florio/1969_1977/1973/TARGA%20FLORIO%201973%20-%20AMS/slides/47%20AMS%20Ford%201600%20%20%20Vito%20Veninata%20%20Gaetano%20Lo%20Jacono%20(4).jpg

 

 

ED ECCOLO A LE MANS

 

http://cdn-8.motorsport.com/static/img/mgl/200000/210000/212000/212200/212268/s8/lemans-24-hours-of-le-mans-1989-106-porto-kaleo-tiga-gc288-9-ford-stingbrace-vito-veninata.jpg

 

GRAZIE DON VINCENZO PER LA TUA TARGA

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Invité §bep134Bm

MA QUANTI SONO I PILOTI SICILIANI CHE HANNO PARTECIPATO ANCHE ALLA 24H DI LE MANS ?

TRA QUESTI C'E' VITO VENINATA DA RAGUSA CHE HA UN CURRICULUM CHE NON HA BISOGNO DI COMMENTI.

 

 

General figures:

Data covers years:1973-1974, 1976-1981, 1987-1989, 1991-1992, 2000
Number of events:53 (including 3 races where did not start)
Total entries:53 (contains 35 finishes and 15 retirements, finishing ratio: 70%)
Photos in Gallery:10 (18% of all entries)

Achievements:

Wins:0Additional class wins11
Second place finishes:1Top 3 finishesnot applicable
Third place finishes:0Races finished on podium1
Best result (count):2nd (1x)Pole positions0

Notes of interest:

Most frequent co-drivers:Pasquale Barberio (11), Ranieri Randaccio (8), Stefano Sebastiani (5), Giovanni Cascone (5), Maurizio Gellini (3), Armando Floridia (2), Giuseppe Iacono (2), "Perrier" (2), Vincenzo Ferlito (1), Antonio Bono (1), Rosario Iaquinta (1), Renato Cita (1), Giovanni Iacono (1), "King" (1), Gaetano Lo Jacono (1), Robin Smith (1)
Most frequent makes:Osella (24), Tiga (18), Chevron (7), Sighinolfi (1), March (1), Lola (1), AMS (1)
Most frequent types:GC288 (13), PA6 (8), B36 (5), GC85 (5), PA7 (2), T292 (1), B26 (1), B23 (1), 75S (1), 273 (1), 1999 (1)
Most frequent chassis:PA6-068 (16), GC288-365 (9), PA8-092 (7), GC85-279 (5), GC288-366 (4), B26-74-04 (1)
Most frequent tracks:Vallelunga (10), Pergusa (10), Monza (5), Targa Florio (4), Varano (3), Magione (3), Jerez (2), Le Mans (2), Nürburgring (2), Mugello (2), Spa (2), Brands Hatch (2), Thruxton (1)
Most frequent countries:I (37), GB (4), E (3), F (2), D (2), B (2), ZA (1), J (1), CS (1)

 

 

https://aws-cf.caradisiac.com/prod/shared/forum/m [...] 740182.jpg

 

http://www.targapedia.com/albu [...] %20(4).jpg

 

 

ED ECCOLO A LE MANS

 

http://cdn-8.motorsport.com/st [...] ninata.jpg

 

GRAZIE DON VINCENZO PER LA TUA TARGA

 

 

http://www.ragusah24.it/wp-content/uploads/2015/01/MG_9164.jpg

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Invité §bep134Bm

 

CI SONO PILOTI CHE HANNO FATTO LA STORIA DELLA TARGA E CI SONO TARGHE CHE HANNO FATTO LA STORIA DEI PILOTI E DELL'AUTOMOBILE, DI CASA FLORIO ...... LA STORIA INCREDIBILE DELLA TARGA CHE NON FINIRA' MAI DI STUPIRE.

QUELLA VOLTA A MONZA DON VINCENZO......

 

 

 

E' STATA UNA PAGINA TRAGICA DELL'AUTOMOBILISMO.

LA STORIA DI UN GRANDE CAMPIONE, EMILIO MATERASSI, E QUELLA DI VINCENZO FLORIO S'INCONTRANO TRA LE STRADE DELLE MADONIE ED IL CIRCUITO DI MONZA.

 

UNA STORIA UNICA, PERCHE' LA STORIA DI VINCENZO FLORIO, DELLA SUA TARGA FLORIO E DELL'AUTOMOBILISMO SPORTIVO NON SONO UNA STORIA TRA TANTE, MA LA UNICA GRANDE STORIA DELL'AUTOMOBILISMO.

 

http://www.targaflorio.info/IMAGES/1927bugatti.jpg

Emilio Materassi, nato a Firenze nel 1889 e morto tragicamente a Monza nel 1928, è stato tra i piloti italiani più simpatici e contradditori, parte di quel caratteristico gruppo di campioni toscani che annoverò i fratelli Masetti, Niccolini, Brilli Peri, Zaniratti, Cercignani, Benini, Pintacuda, Biondetti. Contradditorio non solo perché si trovò a maneggiare, nel corso della sua breve carriera, macchine molto diverse tra loro, dalla rozza “Italona” che egli stesso si era costruito, alla snella ed elegante Bugatti, alla profilata Talbot, ma soprattutto perché, di carattere impulsivo ed irruente, si scontrò spesso con norme e regolamenti, talvolta contestandoli, talvolta invocandoli, ma sempre uscendone sconfitto.

E’ difficile parlare di Materassi senza ricordare l’assurda tragedia che ne troncò la vita: una inspiegabile uscita di pista a Monza, durante il Gran Premio d’Europa del 1928, a più di 200 all’ora, mentre con la sua Talbot tentava di superare la Bugatti del pilota Foresti. L’esito fu catastrofico: nell’impennarsi e carambolare su se stessa, la vettura piombò sul pubblico falciando venti (alcune cronache dicono addirittura ventisette) spettatori, oltre al pilota.

Naturalmente, come sempre, la corsa continuò, perché neanche in quel caso vi fu chi ebbe il coraggio di interrompere lo spettacolo. Fu però, com’era ovvio attendersi, un duro colpo al tentativo di far riprendere fiato alle competizioni automobilistiche internazionali che in quegli anni riscuotevano sempre meno consensi, pubblico e partecipazioni. L’Ufficio Stampa del R.A.C.I. – Reale Automobile Club d’Italia, organizzatore della corsa, che si era sostituito all’ultimo momento allo scarso entusiasmo del R.A.C. inglese, al quale originariamente doveva toccare l’onere e l’onore di organizzare il Gran Premio d’Europa – le aveva tentate tutte per risvegliare l’interesse delle Case e dei piloti verso questa manifestazione. I motivi di questa progressiva disaffezione risiedevano nella storia stessa del Gran Premio. L’indirizzo costruttivo ancora seguito risaliva al 1923, alla prima edizione: motore a otto cilindri in linea, doppio albero di distribuzione in testa, compressore Roots per l’alimentazione forzata. La formula era quella dei due litri di cilindrata, e fu la Fiat, che per prima sperimentò questa architettura costruttiva, ad affermarsi. Anche nei due anni successivi si confermò la supremazia italiana, grazie alle vittorie di Ascari e Campari su Alfa Romeo. A partire dal 1926 si abbandonò la formula dei due litri a favore di quella da un litro e mezzo, e fu da quel momento che si registrò una crescente insofferenza delle case italiane ad adeguarvisi, per i sempre maggiori sacrifici e i vantaggi molto aleatori. Furono gli anni del dominio quasi incontrastato delle Bugatti e delle Delage. La Fiat tentò varie strade, rimaste però a livello sperimentale; la Talbot fu tra le poche che si pose come antagonista, con la sua 1500, alla Delage, ma ancora stentava a trovare la definitiva messa a punto; la OM e altre grandi case estere attendevano che la formula venisse modificata, e soltanto la Maserati andava lentamente imponendosi all’attenzione generale con le sue due litri prima e un litro e mezzo poi. Intanto, oltreoceano, le Miller e le Duesenberg, costruttori specializzati in modelli da corsa, ottenevano ottimi successi, senza però mai sentirsi sufficientemente motivati ad approdare in Europa. Nel 1927 veniva a cadere definitivamente la formula del litro e mezzo, e con essa il classico principio della limitazione della cilindrata che era stato il criterio ispiratore fino a quel momento. La nuova formula, in vigore per il Gran Premio d’Europa del 1928, parve la soluzione più logica e pratica che si potesse prendere, ma in realtà nascondeva una grande contraddizione interna. Si decise che potevano partecipare vetture di qualunque cilindrata, purché di peso compreso tra i 550 e i 750 kg; mentre nessuna limitazione era posta al consumo di carburante. L’incongruenza stava nel concedere la più ampia libertà in fatto di cilindrata, limitando però il peso: già molte vetture da un litro e mezzo sorpassavano di gran lunga i 750 kg. Chi avrebbe potuto pensare a concepire, con tali limiti, motori di cilindrate maggiori? Lo stesso Materassi, che si era iscritto al Gran Premio con le vetture della “sua” scuderia, dovette in qualche modo correre ai ripari. Alla luce del poi, questo assume un tono sinistro, per come è riportato da “Auto Italiana”, in un articolo a firma di Pasquale Borracci, intitolato “Le incongruenze e le incognite della nuova formula”: “Abbiamo detto che alcune fra le più recenti litro e mezzo si aggirano già sul limite dei 750 kg. Possiamo dire di più. Le Talbot, che saranno certamente presentate in gara dalla “scuderia” Materassi, pesano circa 780 kg. Sarà necessario, perché queste macchine siano ammesse in corsa, che venga sacrificato qualche pezzo accessorio non assolutamente indispensabile e, quel che è peggio, che sia alleggerito qualche organo a scapito della sua resistenza”. Proprio l’idea della scuderia, come squadra automobilistica che raccoglie vetture da corsa e piloti in modo da poter partecipare nel modo migliore alle corse, era stata escogitata da Materassi, il primo al mondo a concepirne e fondarne una. Gli era venuto in mente alla fine della stagione 1927, quando aveva saputo che la Talbot rinunciava alle corse, a causa della pesante passività che ne era derivata. Le vetture da un litro e mezzo con compressore, le più temute avversarie delle Delage e delle Bugatti, rischiavano di essere abbandonate in un angolo della fabbrica. Si diede allora da fare per racimolare il denaro necessario e si presentò ai dirigenti della Talbot per rilevare tutto il materiale da corsa. Chiese aiuto anche a Canestrini, il già famoso giornalista, che gli chiese incuriosito perché avesse deciso di battezzare la sua squadra “scuderia” (nessuno prima di lui l’aveva fatto): “Non ho trovato niente di meglio – fu la schietta risposta – e poi anche noi guidiamo dei cavalli. Non le pare?”. Anche queste macchine, dalla accentuata sagoma bassa, rispondevano alle caratteristiche classiche dei tipi da corsa: otto cilindri, doppio albero di distribuzione, albero montato su rulli, compressore. Il disegno del motore era dovuto ad un tecnico italiano, l’ing. Bertarione, che già aveva collaborato ai modelli da corsa della Sunbeam. La carrozzeria strettissima, del tipo monoposto, conferiva a queste macchine una eccellente profilatura, tanto da permettere a Materassi di toccare i 207 km/h poche settimane prima, al Mugello. Lo stesso pilota era intervenuto nella messa a punto “apportando anche delle felici modificazioni come per esempio nei freni”, e modificando la struttura dell’intera parte anteriore (Auto Italiana, 31 agosto 1928). Anche questa frase suona male, per una vettura che esce completamente di controllo provocando la morte di tante persone. Non c’è dubbio che il cambiamento di formula sembrò portare una ventata di aria fresca, anche perché il regolamento permetteva la partecipazione non solo alle squadre delle grandi case, ma anche a corridori isolati. Naturalmente, questo significava mutare radicalmente l’impostazione di un Gran Premio come si era fino a quel momento disputato. Gli organizzatori si resero conto di aver centrato l’obiettivo quando si trovarono di fronte a ben trenta, insperate, iscrizioni. Trassero un grande sospiro di sollievo e decisero addirittura di imporre una prova di velocità preliminare, in modo da scremare il campo da mezzi insufficienti o piloti impreparati. Non mancavano i grandi nomi: le Bugatti con Chiron, Nuvolari, Foresti, Drouet ed altri, le Alfa Romeo due litri con Campari e Varzi, una Delage due litri con Aymini, le Maserati 1700 che avevano debuttato al recente Gran Premio Reale di Roma con Ernesto Maserati, Borzacchini e Maggi, ed infine le Talbot con Materassi, Brivio, Brilli Peri, Comotti ed Arcangeli. Ma i minuti prima del via erano stati affannosi e sgradevoli. Si era saputo che un concorrente, la cui vettura non rientrava nei limiti di peso prescritti, aveva presentato la sua macchina al controllo del peso senza alcuni organi: addirittura senza ganasce dei freni e, correva voce, anche senza il collo d’oca del motore. Materassi, che con i regolamenti disattesi aveva un conto aperto, venne a sapere della cosa e chiese che si procedesse allo smontaggio della vettura incriminata. Farlo, si resero conto i commissari con sgomento, poteva significare compromettere l’intera manifestazione, messa insieme con così tanta fatica, ed essere costretti a colpire con la squalifica il concorrente. Come sempre accade in questi casi, racconta Canestrini nel suo “Una vita con le corse”, si cercò di mettere a tacere la questione; intervennero personalità sportive e politiche. Proprio qualche settimana prima su “Auto Italiana” era comparsa una severa reprimenda, a firma di Corrado Filippini, intitolata “Constatazioni sgradevoli in tema di disciplina e di regolamenti”. Filippini sosteneva che “delle clausole di un regolamento, dagli stessi organizzatori si tiene conto fintanto che c’è tornaconto. Alla prima difficoltà di applicazione, allo affacciarsi del primo contrattempo ai danni della sollecita adesione alla gara, specialmente dei corridori di fama maggiore, il regolamento impugnato ferocemente qualche momento prima capitola e non se ne parla più….Il tal corridore interessa? Bene: e allora per lui tutto si può fare: accettare la inscrizione a sole ventiquattro ore dalla corsa, abbuonargli la tassa di inscrizione, la spesa del box e, magari, offrigli denaro sotto forma di ingaggio o di rimborso spese. Il tal altro corridore interessa meno e si potrebbe per lui fare la faccia feroce? Si consulta l’elenco degli iscritti; se ci sono molti vuoti lo si prende e lo si tratta per benino e si accetta la iscrizione anche se il tempo utile è scaduto…se l’elenco è completo niente da fare: si trova che è tardi, si pretende il pagamento della tassa e ci si attacca disperatamente allo stiracchiato regolamento”. Disciplina, insomma, chiedeva Filippini, e competenza e serietà. Esattamente quello che chiedeva Materassi, ma inutilmente. Si lasciò persuadere, “per il bene della manifestazione”, che era meglio soprassedere, e la cosa finì lì. Ma la sua amarezza fu grande. Anche perché egli stesso era stato protagonista, all’ultimo gran Premio di Tripoli, di un caso analogo, sia pure quella volta dalla parte del torto. Il fatto è che, in quel caso, nessuno pensò di soprassedere…Sappiamo molto bene come andarono le cose, anche perché è lo stesso Filippini che in un articolo di qualche giorno successivo al primo cita l’episodio come esempio di malcostume (proprio quando sarebbe stato il caso di citarlo come caso di rara osservanza delle regole!). “Citeremo un caso per tutti. Quello capitato all’Automobile Club di Tripoli, in occasione del suo ultimo premio, cioè la contraddizione stridente fra il regolamento della gara e il regolamento internazionale circa la questione del posto o due a bordo di una vettura e della relativa zavorra. Così successe a Tripoli che Materassi si iscrisse con le Talbot, che sono monoposto, ignorando, per non averlo forse nemmeno letto, il regolamento particolare della prova. All’atto pratico fra gli altri corridori vi fu chi (leggi: Nuvolari) richiamandosi al regolamento sollevò opposizione a che Materassi partisse solo a bordo. Una soluzione vi sarebbe però stata: e solo che Materassi si fosse deciso a caricare il corrispondente peso in tanta zavorra, le cose si sarebbero completamente aggiustate. Materassi, per ragioni sue, non volle…Fatto sta che ne andarono di mezzo la gara che si vide privata di uno dei suoi protagonisti più forti e lo stesso A.C. di Tripoli, che per avere in lizza Materassi forti spese aveva già sostenuto…Perché Materassi prima di partire per Tripoli non si lesse riga per riga il regolamento e non ci si uniformò alla lettera a scanso di quei guai che invece successero? In linea sportiva i concorrenti che si opposero alla partecipazione di Materassi (leggi nuovamente Nuvolari) possono, se vogliamo, essere stati poco generosi verso il loro collega. Ma chi dopo tutto potrà incolparli se difesero come potevano i loro interessi che sarebbero stati danneggiati, invece, se Materassi fosse partito senza meccanico e senza zavorra?” Ragionamento ineccepibile, se non fosse che in quell’occasione Materassi non partì mentre pochi mesi dopo, su un concorrente presumibilmente di fama più chiara, il controllo non si fece. In realtà, a Tripoli lo scontro tra Materassi e Nuvolari aveva anche altre ragioni oltre quelle regolamentari. Entrambe le scuderie erano al loro debutto: da quella gara, ad inizio di stagione, dipendeva l’avvenire di ciascuna, nelle quali i due capitani avevano impegnato il proprio nome e i propri averi. In secondo luogo Materassi (è sempre la voce di Canestrini a raccontarcelo) che pure aveva dato molte soddisfazioni a Bugatti avendo riportato l’anno prima con le sue vetture gare di rilievo internazionale (Gran Premio di Tripoli, Targa Florio e Coppa Montenero), era stato poi escluso dalla squadra, tanto da doversi affannare a creare la sua scuderia. E con vetture Bugatti correva la scuderia Nuvolari. Insomma, motivi d’interesse si mescolavano indissolubilmente a clausole regolamentari, in un intreccio che stritolò il più debole a beneficio del più forte. Così, è spiegabile la grande amarezza ed esasperazione con cui Materassi, quel maledetto 9 settembre, si mise al volante. Quell’agitazione interna, quello scoramento, seminarono il panico nel box della sua scuderia, nell’animo della moglie e dei meccanici. Perché tutti erano a conoscenza di un segreto che emerse moltissimi anni dopo, grazie proprio ad ”Auto d’Epoca” (dicembre 1988, “La morte di Materassi”, di Fausto Appicciafuoco). Materassi, se agitato o turbato, sveniva facilmente, il che l’aveva sovente portato sulla soglia di incidenti gravissimi se non fosse ogni volta intervenuto il fido meccanico Gaetano Pompetti. Per questo motivo, negli ultimi tempi (e la figura di Materassi si staglia ancora più nobile) il pilota toscano si era rifiutato di prendere a bordo un meccanico, conscio del grande pericolo in cui avrebbe potuto mettere la vita altrui. Basta questo per capire cosa successe al diciottesimo giro del Gran Premio, e che risultò inspiegabile nonostante varie inchieste ed indagini? “Allorché Materassi stava per ultimare il 18° giro, sul rettilineo davanti alle tribune, mentre cercava di rimontare la Bugatti di Foresti, deviava improvvisamente a sinistra, senza nessun apparente motivo, e la macchina, dopo aver superato lo spazio erboso al lato della pista, abbattuti diversi paletti sostenenti la recinzione metallica di protezione, scavalcato il fossato che separa la pista dal parterre delle tribune, piombava sulla folla e dopo alcuni ribaltamenti ritornava nel fossato dopo aver seminata la strada di morti e di feriti” (Auto Italiana, 15 settembre 1928). Furono fatte diverse ipotesi, ma la dinamica dell’incidente rimase sempre un mistero. Si pensò subito all’eventualità più facile: che Materassi avesse deviato dalla sua scia per aver urtato nella Bugatti di Foresti. In realtà la Bugatti non fu neanche minimamente sfiorata. “Non poté esserci urto perché se vi fosse stato e Materassi avesse toccato col mozzo della sua ruota anteriore destra la ruota posteriore sinistra della macchina di Foresti, la Talbot avrebbe deviato a destra, travolgendo così la Bugatti e spingendola probabilmente contro i box di rifornimento, con ben altre conseguenze di quelle prodotte con la deviazione a sinistra. Con tutta probabilità la deviazione a sinistra della Talbot deve essersi prodotta dal fatto che Materassi, accortosi che non poteva staccarsi abbastanza dalla Bugatti di Foresti e nella tema di investirlo nella ruota deve aver manovrato con uno scatto repentino il volante, accentuando oltre il necessario l’angolo di curvatura della macchina; che intuito il pericolo abbia frenato e che essendosi inceppato il freno della ruota sinistra o di entrambe le ruote anteriori non abbia più potuto manovrare lo sterzo per riportare la macchina in linea…” La Commissione d’indagine, a cui fu affidata l’inchiesta, non approdò a nulla e a tutt’ora l’ipotesi più convincente rimane senza dubbio quella di “Auto d’Epoca”. Il gravissimo incidente suscitò una viva emozione in tutto il mondo sportivo e si ripercosse negativamente sull’Autodromo e sullo sport automobilistico per anni. Già nel 1929 si diede mano a nuove opere per la sicurezza del pubblico e dei concorrenti. Lungo tutto il rettifilo delle tribune fu ampliato ed approfondito il fossato e verso la pista si costruì un robusto muro di calcestruzzo alto un metro e spesso 50 cm; si rinforzarono le fondamenta delle tribune e delle gradinate. Ma non bastò a rassicurare gli animi: per il 1929 la preoccupazione delle responsabilità, suscitata dall’incidente nelle case e negli organizzatori, impedì di far svolgere a Monza il Gran Premio d’Europa. Vi si corse invece il Gran Premio di Monza, ma sulla sola pista di velocità, per limitare i rischi.

Al termine della stagione 1929 si decisero ulteriori interventi; nel 1930, per il Gran Premio di Monza, Vincenzo Florio, Presidente della Commissione Sportiva Automobilistica, lasciando intatto il vecchio circuito, utilizzò un nuovo viale (raccordo Florio).

Nulla però poteva riportare in vita l’impetuoso, irruente Materassi, capace di gareggiare (perdendo) contro un aeroplano, per il puro gusto della sfida. Incapace di avere paura, non pensava mai alla sconfitta, pronto ad intervenire, modificare, migliorare se stesso e la propria macchina; inventivo, estroverso, ribelle alle costrizioni. Meritava altra sorte; almeno in questo, simile a molti altri. Emilio Materassi nasce a Firenze nel 1889. Giovanissimo inizia a lavorare come meccanico di biciclette, per poi passare alle officine per auto. Di famiglia povera, per mantenere sé e la famiglia d’origine non esita ad accettare l’impiego di autista sulle prime autolinee toscane: un mestiere duro e faticoso, perché significa guidare mastodonti pesanti e poco maneggevoli su strade impossibili, ma anche un’ottima scuola per farsi le ossa come pilota. Nel 1923 è ormai un meccanico esperto e un guidatore maturo tanto da accattivarsi le simpatie di un gruppo di amici facoltosi che lo aiutano ad intraprendere l’attività di rappresentante per la marca torinese Itala. Apre infatti a Firenze “L’Autogarage Nazionale”, in via dei Poggi 12/12. Nello stesso anno decide di acquistare dalla casa uno dei motori aeronautici Hispano Suiza – Itala, da 300 CV, che l’Itala aveva messo in produzione durante gli ultimi mesi della guerra mondiale e di cui aveva ancora pieni i magazzini, tanto da essere costretta ad una svendita sottocosto. Da quel motore, di cui Materassi elimina quattro cilindri, deriverà la sua prima macchina da corsa, la cosiddetta “Italona”. Nonostante i tre litri di cilindrata e i 2.000 kg di peso, Materassi riesce ad imporsi proprio sui percorsi più impervi. Diventa il “Re del Montenero”, per aver riportato ben quattro edizioni (due con la Italona, una con la Bugatti, una con la Talbot) di quell’infernale circuito, che spezzava le braccia e mozzava il respiro anche ai piloti più allenati. Materassi è un guidatore energico, astuto e preparato, che affronta le curve sfiorando con maestria muretti e paracarri, sfruttando al massimo il raggio delle curve, con uno stile che a molti richiamava quello di Nuvolari. Grazie a queste doti, esordisce nello stesso anno con un secondo posto alla Coppa delle Colline Pistoiesi; l’anno successivo ottiene tre vittorie assolute, il circuito di Perugia, la Coppa della Consuma, la Coppa delle Colline Pistoiesi. Nel 1925 è primo sui 400 km del Gran Premio di Roma, primo di categoria nel circuito del Lazio, secondo nella Coppa della Perugina, primo al circuito del Mugello, al circuito del Montenero, alla Coppa delle Colline Pistoiesi. Queste ultime quattro gare lo vedono primo anche nella stagione successiva; conquista inoltre il quarto posto assoluto alla Targa Florio. Intanto però le macchine si sono affinate, i motori sono diventati più potenti e veloci. L’Italona di Materassi stenta a reggere il confronto, nonostante la determinazione e l’impegno del pilota toscano, che ne è ben consapevole e che perciò non si lascia sfuggire l’occasione di entrare nella squadra della Bugatti per la stagione 1927. Esordisce a bordo della macchina francese al Gran Premio di Tripoli, che vince percorrendo i 419 km alla media di 132 km/h; trionfa anche nella Targa Florio, alla Coppa della Perugina, dove per l’ultima volta si presenta sull’Italona, al circuito di Bologna e a quello del Montenero. Conquista così il titolo di Campione Assoluto d’Italia e conclude questa strepitosa annata battendo in Spagna, al Gran Premio di San Sebastiano, tutti i migliori piloti del momento. Nel 1928 la Bugatti non lo chiama più, e Materassi decide di fondare la sua personale scuderia, utilizzando le vetture da corsa della Talbot, che rielabora personalmente. Al volante delle nuove macchine ottiene vittorie di categoria al circuito Pietro Bordino, al circuito del Mugello, al Reale Premio di Roma, al circuito di Cremona, di Pescara ed è primo, naturalmente, al Montenero. L’incidente mortale del Gran Premio d’Italia, il 9 settembre, interrompe una carriera all’apice dei successi.

Donatella Biffignandi (Per “Auto d’Epoca”, 25 settembre 2004)

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Invité §bep134Bm

 

E' STATA UNA PAGINA TRAGICA DELL'AUTOMOBILISMO.

LA STORIA DI UN GRANDE CAMPIONE, EMILIO MATERASSI, E QUELLA DI VINCENZO FLORIO S'INCONTRANO TRA LE STRADE DELLE MADONIE ED IL CIRCUITO DI MONZA.

 

UNA STORIA UNICA, PERCHE' LA STORIA DI VINCENZO FLORIO, DELLA SUA TARGA FLORIO E DELL'AUTOMOBILISMO SPORTIVO NON SONO UNA STORIA TRA TANTE, MA LA UNICA GRANDE STORIA DELL'AUTOMOBILISMO.

 

 

 

 

 

Molti ricorderanno la sfida tenutasi nel dicembre scorso, all’aeroporto militare di Grosseto, fra la Ferrari di formula uno condotta dal campione mondiale Schumacher e l’aereo militare Eurofighter, condotto dal pilota Maurizio Cheli o l’analoga competizione, nel 1981, tra la Ferrari del campione Gilles Villeneuve, ed un caccia Lockheed F104.

Gli appassionati sanno che queste sfide sono nate insieme con l’aereo e l’automobile. Ad una di esse, nel 1931, partecipò addirittura il pilota più famoso: Tazio Nuvolari. Sono in pochi, invece, a sapere che il 27 novembre del 1927,

teatro di uno di questi duelli, il primo in Italia, fu addirittura l’ippodromo di Prato, dove un “campione automobilista” ed un “aviatore”, si sfidarono per conquistare la gloria ed un premio di ventimila lire.

Le cronache dell’epoca ci raccontano di due gentiluomini, Emilio Materassi

l’automobilista - su Bugatti 35C e Vasco Magrini

con un caccia “Hanriot HD1”,

che, accantonata temporaneamente la vecchia amicizia, si confrontarono in una sfida nata “senza livori, da una conversazione, in perfetto cameratismo sportivo”.

L’interesse che la vicenda suscitò ci è testimoniato dall’attenzione con cui i quotidiani la seguirono: il definirsi della sfida, le prove, l’entusiasmo degli ambienti sportivi, le tattiche, le polemiche tra i due contendenti, ed infine la gara vera e propria.

Oggi quell’evento, dimenticato da tutti, potrebbe sembrare degno di essere ricordato soltanto come un aneddoto stravagante; ma è sufficiente immaginare la scena: l’urlo dell’autovettura da gran premio che corre nell’ippodromo pratese, ed il rombo del caccia militare che la sorvola, seguendo il proprio percorso…

è subito evidente che quell’episodio, a distanza di tanti anni, deve essere ricordato soprattutto perché memorabile per lo sport pratese.

PENSATE, UNA SFIDA TRA UN'AUTOMOBILE ED UN AEREO ... IN UN IPPODROMO: VERAMENTE NON SAPPIAMO PIU' QUALE PUO' ESSERE IL "VERO GUSTO DELLA VITA" .

beppe

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Per tutti i grandi fan di italiani, cerco la foto di questa automobile :

 

14-08-76 Cronosalata Svolte di Popoli

N°? Renault Alpine A441 #3 Gigi Tommasi

Équipe Naddeo Gr.6 4e. ; scratch ?

 

Di anticipo, grazie mille

 

ML.

mosleylucky at yahoo.fr

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Invité §bep134Bm

 

CI SONO PILOTI CHE HANNO FATTO LA STORIA DELLA TARGA E CI SONO TARGHE CHE HANNO FATTO LA STORIA DEI PILOTI E DELL'AUTOMOBILE, DI CASA FLORIO ..... LA STORIA INCREDIBILE DELLA TARGA CHE NON FINIRA' MAI DI STUPIRE.

beppe

 

 

http://www.targaflorio.info/IMAGES/30bugattichiron.jpg

21^ TARGA FLORIO

4 maggio 1930

BUGATTI TYPE 35 B - LOUIS CHIRON

 

http://www.targaflorio.info/IMAGES/32chiron.jpg

23^ TARGA FLORIO

8 maggio 1932

http://www.targaflorio.info/IMAGES/35chiron.jpg

 

26^ TARGA FLORIO

28 aprile 1935

LOUIS CHIRON su ALFA ROMEO B

 

 

 

 

 

Uno di questi è stato Louis Chiron che ha corso nel periodo antecedente alla Seconda guerra mondiale con alcuni grandi nomi come Nuvolari, Varzi e Campari, e passato alla storia per essere stato il pilota più anziano ad aver mai partecipato ad una gara di Formula 1, all'età di 55 anni, 9 mesi e 19 giorni: un record destinato a rimanere imbattuto.

Louis Chiron nasce nel 1899 a Monaco da genitori francesi. In possesso di doppia cittadinanza, Chiron viene arruolato nell'esercito francese durante la prima guerra mondiale partendo come soldato. Durante la guerra mostra il suo talento come pilota, poiché all'età di 19 anni diventa l'autista personale del maresciallo Foch, comandante in capo sul fronte occidentale. Nei primi anni '20 fa di nuovo ritorno a casa per lavorare nell'Hôtel de Paris a Montecarlo, ma soprattutto per intraprendere la carriera di ballerino professionista, il che gli permette di collezionare numerose conquiste femminili.

Ed è proprio grazie alla sponsorizzazione di una ricca donna americana che Chiron ha la possibilità di iniziare la sua carriera di pilota nel 1923, dapprima alla guida di una Bugatti Brescia in diversi eventi locali e successivamente passando a una Bugatti T35.

Nel 1926 il monegasco incontra un giovane pilota tedesco, che sarebbe diventato uno dei suoi più cari amici: Rudi Caracciola. Nello stesso anno conosce anche Alfred Hoffman, erede della famosa azienda farmaceutica Hoffman-La Roche, il quale, visto il suo interesse per le corse, decide di sponsorizzare una Bugatti ufficiale per Chiron. Al volante della T35B, spinta dal potente sovralimentato di 2,3 litri, fa il suo debutto nel Gran Premio di Spagna 1927 riuscendo a tenere la seconda posizione prima di essere costretto al ritiro, prima di terminare quarto nella gara inglese.

Nel mese di luglio del 1928 arriva la prima vittoria nel Gran Premio di San Sebastian sulla pista di Lasarte, e successivamente si impone anche nell'Antibes Grand Prix, in quello di Marne e nel Gran Premio di Roma. Nella gara di Monza ottiene la vittoria battendo Varzi, Campari e Nuvolari ed affermandosi quale uno dei migliori piloti del panorama europeo. Nello stesso anno, si reca a correre anche a Indianapolis con una Delage, terminando in settima posizione.

Nel 1929 Chiron vince il Gran Premio di Germania e il Gran Premio di Spagna. Nello stesso anno, grazie anche alla collaborazione con Anthony Noghès, viene inserito nel calendario l'evento che sarebbe diventato il più glamour della storia dei Gran Premi: la gara di Monaco.

L'anno seguente conquista il GP del Belgio, ma il resto della stagione si rivela magro di successi per il pilota monegasco.

Correndo una Bugatti T51, nel 1931 aggiunge la gara di Montecarlo, Francia e il Gran Premio della Cecoslovacchia alla sua lista di vittorie e l'anno dopo bissa quest'ultimo successo oltre a conquistare il Gran Premio di Nizza. Alla fine della stagione 1932, Chiron viene licenziato dalla Bugatti, dopo che il team manager Meo Costantini non sopporta il pilota che ignorava sempre i suoi ordini. Chiron e Caracciola decidono così di creare a proprie spese una scuderia, in cui i profitti sarebbero stati divisi tra i due piloti al 50%.

E così, nei primi mesi del 1933, la nuova Scuderia CC acquista tre Alfa Romeo P3s e due Bugatti, debuttando al Gran Premio di Montecarlo. Durante le prove Caracciola è vittima di un grave incidente alla curva Tabac, che gli avrebbe impedito di parecipare alle competizioni motoristiche per oltre un anno. Chiron opta di correre per la Scuderia Ferrari per il resto della stagione vincendo diverse gare e, insieme con Chinetti, anche la 24 Ore di Spa.

Per il 1934 la Ferrari conferma Louis Chiron insieme a Achille Varzi, il conte Trossi, Guy Moll e Marcel Lehoux, mettendo loro a disposizione la Ferrari 2,9 litri di Tipo B. Nella prima gara della stagione a Monaco i piloti Ferrari finiscono 1°, 2°, 4° e 6°. Chiron, con quasi un giro di vantaggio sul primo degli inseguitori, a due giri alla fine commette un errore finendo nei sacchi di sabbia al tornantino della Stazione; conclude perciò secondo la gara dietro a Moll. Chiron conclude nuovamente secondo al Bordino GP, questa volta dietro al compagno di scuderia Varzi, e terzo a Tripoli alle spalle di Varzi e Moll. Vince a Casablanca, si ritira all'Avus e conclude terzo a Eifelrennen, mentre al Penya Rhin GP conclude secondo dietro a Varzi.

Nel 1934, al GP di Francia a Montlhéry, Chiron vince la gara davanti alle Mercedes e Auto Union, imponendosi anche nel GP di Marma e concludendo al terzo posto il GP di Germania.

Nel 1935 Chiron conquista solamente il Gran Premio di Lorraine, una gara minore, mentre per il resto la stagione si segnala come un dominio assoluto di Auto Union e Mercedes.

Nel 1936 Chiron segue il suo amico Caracciola nel team Mercedes-Benz, ottenendo la pole a Monaco nella sua prima gara per il team; le vetture però non si rivelano competitive e Chiron ottiene come miglior risultato un misero sesto posto. In Germania, Chiron è protagonista di un grave incidente ad alta velocità in seguito al quale viene ricoverato in ospedale con ferite alla testa e alla schiena, che lo spinge ad abbandonare momentaneamente le competizioni Grand Prix.

Il suo ritorno alle corse avviene però nel 1937, quando vince il GP di Francia al volante di una Talbot T150C. Nel 1938 tenta la fortuna su una Delahaye a Le Mans ma è costretto al ritiro, così come nella gara nella sua nativa Montecarlo.

Con l'avvento della Seconda guerra mondiale, tutte le competizioni automobilistiche subiscono un brusco stop; Chiron riprende a guidare nel 1947 con la Talbot Lago ottenendo di nuovo il successo al Gran Premio di Francia e al Grand Prix de Comminges. Nel 1949 conquista la vittoria al Rally di Montecarlo, dove con la sua dichiarazione priva di fondamento distrugge la carriera di Helle Nice, accusata di essere stata una spia nazista durante la Seconda guerra mondiale. In seguito, vince il Gran Premio di Francia per l’ultima volta.

Nel 1950 partecipa al primo campionato del mondo di Formula 1 con la Maserati riuscendo a conquistare il terzo posto nel Gran Premio di Montecarlo, mentre negli altri quattro appuntamenti a cui partecipa si ritira. Conclude la stagione al decimo posto con quattro punti.

Nel 1951 partecipa al Mondiale prima correndo il Gran Premio di Svizzera con la scuderia di Enrico Platè, arrivando settimo con la Maserati 4CLT, e dopo correndo le ultime sei gare con la Talbot Lago della scuderia Ecurie Rosier, arrivando al traguardo in sesta posizione in Francia e ritirandosi nelle altre cinque gare.

Nel 1953 partecipa da privato con una Osca al Gran Premio di Francia classificandosi quindicesimo, per poi piazzarsi in Italia in decima posizione. Nel 1955 arriva sesto con una Lancia D50 al Gran Premio di Montecarlo e nel 1956 non si qualifica con la Maserati 250 della Scuderia CentroSud.

Nel 1958 partecipa per l’ultima volta ad una gara di Formula 1 a Montecarlo, diventando il pilota più anziano ad aver preso parte ad un evento ufficiale all'età di 57 anni: fallisce però la qualificazione con una Maserati 250, al pari di un personaggio che in seguito sarebbe diventato particolarmente noto nel mondo delle corse: Bernie Ecclestone.

Dopo essersi ritirato, ha continuato la propria attività come promotore e direttore di gara del Gran Premio di Montecarlo, dove gli è stata dedicata la prima "esse" delle Piscine. Muore nella sua casa di Monaco il 22 giugno 1979, poco prima di compiere ottant'anni.

Chiara Zaffarano - Marco Privitera

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Invité §bep134Bm

Cari Amici di Targa,

 

 

https://aws-cf.caradisiac.com/prod/shared/forum/m [...] 66/027.jpg

 

 

Ancora nel 2011 “Dodo” Baggio dall’Inghilterra, tramite sua moglie Polly che scriveva al PC, continuava ad inviare mail che definirei “elettrizzate” / “elettrizzanti” , tanto trasudavano di entusiastico stupore ed al tempo piacere nel trattare e ricordare di “Targa Florio” ……..

 

Nella mail iniziale, come già scritto, “Dodo” raccontava di una curiosa storia di Moss che era riuscito a girare in prove, sulle strade di Targa, con una normale Fiat 1100, in compagnia di un fotografo per un servizio giornalistico/fotografico, e questo dopo un iniziale diniego da parte dell’A.C. Palermo, successivamente rientrato a seguito di una sorta di “ribellione” da parte degli altri piloti.

 

“Dodo” chiaramente riferiva l’episodio raccontato all'anno 1963 ma all’inizio, devo ammetterlo, ero rimasto (stupidamente) un attimo perplesso, alla luce del fatto che nel ‘63 Moss non corse, in Targa.

 

Ma la mie perplessità erano assolutamente malriposte.

 

Infatti, nell’Archivio di Targa 63, nella cartella “Floriopoli”, ho trovato l’immagine di un Moss con barba, in compagnia di Bonnier, e la foto era certamente riferita al 63, e l’abbigliamento di Moss non era per nulla da “driver” ….. come ben visibile ….

 

 

https://aws-cf.caradisiac.com/prod/shared/forum/m [...] 66/X27.jpg

 

 

Insomma, Moss era presente in Targa ‘63 ….. non come pilota, ma verosimilmente come giornalista ; era il suo periodo di “fermo” dopo il terribile incidente di Goodwood del 1962 ……. e Lui fu in Targa da spettatore/reporter, come lo fù anche in altre gare, quell’anno.

 

 

https://aws-cf.caradisiac.com/prod/shared/forum/m [...] 66/XX3.jpg

 

 

“Dodo”, quindi, ricordava BENISSIMO ……

 

 

E Polly, infatti, continua :

 

17/11/2011 16:56

 

“ …… I have now got better facts of the story of Strerling Moss and the Fiat 1100.

 

Stirling had his bad accident at Goodwood in April 1962 and was in a coma for one month and then very ill for many months. He wanted to drive BUT NOT RACE, around the Targa Florio with a photographer in his hired Fiat 1100 during the practice and when the powers in charge decided he was maybe not fit to do so - most of the main drivers said then they would not race unless he was allowed to drive with the photographer.

 

He was allowed to drive and the others were free to race !

 

Dodo says that while Sterling Moss was driving in the Fiat 1100 it was Dodo behind him and Bandini a long way in front – going down towards the Buonfonello straight, coming down from Collesano.

 

This was in practise and even so, Moss was on two wheels at times while the photographer was trying to take pictures….. “.

 

 

* * *

 

Insomma, una storia semplicemente meravigliosa.

 

Penso al giornalista dentro quella Fiat 1100 condotta da Moss …… alle prese con le foto da fare per il servizio…… Fiat 1100 spesso non esattamente su quattro ruote, e tutto questo in mezzo ( anche ) alle altre vetture da gara che nel frattempo giravano in prove libere alla grande ……. e tra le altre ….. anche la Etype di “Dodo” (che vide le scene) e la Ferrari Dino196SP di Bandini ….. tra Collesano …… Buonfornello e quant’altro ….

 

E finisco questo post al pensiero di un pilota privato come “Dodo” che si ritrovava - da protagonista tra protagonisti d’eccellenza - in mezzo a quegli episodi “epocali” ….. di Targa.

 

 

Lo invidio.

 

 

Best54

 

 

Grazie “Dodo”, grazie Polly. :jap: :jap: :jap:

 

 

https://aws-cf.caradisiac.com/prod/shared/forum/m [...] 631188.jpg

www.amicidellatargaflorio.com

 

QUESTA DELLA FULVIA ZAGATO TRAINATA DALLA "FIAT CAMPAGNOLA" DEI CARABINIERI MI MANCAVA.

 

 

 

TARGA UNIQUE

Targa unica e sola.jpg

 

 

SCUDERIA:

PILOTI: "Snoopy" (Salvatore Giorlandino ?) - "Nano"

CATEGORIA: categoria gran turismo-classe da 1001 a 1300 cc

CLASSIFICA: 31°assoluti, 13°categoria gran turismo, 6°classe da 1001 a 1300 cc

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Invité §bep134Bm

Catturassdffs.png

 

 

 

TARGA 1970 : L'Amico Peppe Zambito si "infilò" quasi sino a dentro gli inviolabili locali garage della Squadra J.W.A. , all'Hotel Santa Lucia di Cefalù .... per consentirci di farci vedere, oggi, ......... di quanto i 908/3 NON avessero bisogno, per il loro ottimale assetto aerodinamico in gara, di alcuna significativa "ala" posteriore.

Gli "essenziali" sistemi di regolaggio di quella "bandella" ..... posizionati quasi "a zero" ..... ce lo stanno a testimoniare .....

 

 

 

 

BASTAVA UNA "TOPOLINO" ED I SOGNI DIVENTAVANO REALTA'

 

 

[h3]Giro di Sicilia 1952 - Quella Fiat Topolino col numero di gara 17 …..[/h3](da Amici della Targa Florio)

L’Amico Maurizio Zuccolin - che ringraziamo - ci ha inviato una eccezionale documentazione storica del 12° Giro di Sicilia del 1952. Una delle famose “tabelle di marcia” consegnate agli equipaggi. Questo ci ha scritto :

 

“ ….. mio padre nel 1952 ha partecipato al 12° Giro di Sicilia -come secondo pilota - con una Fiat Topolino con il nr.17. Da ricordi dei suoi racconti devono aver finito la corsa dentro un negozio di scarpe, (con l'auto). Sono in possesso unicamente della tabella di marcia ……… Maurizio Zuccolin.

……. allego con piacere la scansione dei documenti, per me non c'è nessun problema a pubblicarli, magari come Zanetti e Zuccolin ….. I documenti sono chiaramente originali con le correzioni a mano dell'epoca; hanno utilizzato gli stampati dell'anno precedente e corretti a mano come potete notare. Purtroppo mio padre non c'è più e quindi non so dirvi dove era il negozio di scarpe, ma sicuramente nel tratto tra Palermo e Trapani in quanto, come si può rilevare dalla tabella di marcia, non hanno avuto il visto su Trapani.

Un altro particolare che mi raccontava è che il pubblico all'epoca faceva vistosi segni scaramantici ( leggesi corna ) al loro passaggio, visto il numero sulla macchina, a giusta ragione visto l'esito finale.

Sempre nel 1952 hanno partecipato alla Mille Miglia, questa l'hanno conclusa ……. Saluti. Maurizio …. “

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Invité §bep134Bm

 

 

 

BASTAVA UNA "TOPOLINO" ED I SOGNI DIVENTAVANO REALTA'

 

 

[h3]

[/h3]

 

 

Fonte http://www.aisastoryauto.it/di [...] -da-corsa/

 

[h2]TOPOLINO DA CORSA.[/h2]http://www.aisastoryauto.it/wp-content/uploads/2016/01/48dolomitifiorio-700x470.jpg

La Fiat 500 “Topolino” compirà 80 anni col 2016. La fama della piccola vettura è oggi fuori discussione come la sua rilevanza tecnico-industriale nella storia dell’automobile.

Forse dimenticato e’ invece il suo ruolo nelle corse italiane a cavallo della seconda guerra mondiale coll’impulso dato alla classe 750cc della categoria Sport che continuerà fin dentro gli anni cinquanta.

L’aumento dei costi dovuto alla guerra di Etiopia e alle conseguenti sanzioni aveva causato alla fine del 1936 l’impossibilità di rinnovare in termini economicamente accettabili il parco macchine delle vetture sport costituito da vetture sovralimentate ormai per lo più obsolete. Fu proposta quindi l’istituzione di una categoria Turismo (dal 1938 Sport) Nazionale che avrebbe utilizzato vetture derivate dalla serie. Si dovevano mantenere telaio e sospensioni con il blocco cilindri e il cambio della vettura di serie , mentre si poteva opearare liberamente (dal 1938) sui sistemi di distribuzione e di accensione e i freni potevano essere maggiorati senza cambiare il sistema di origine. Le piu’ diffuse vetture di serie di produzione italiana si prestavano benissimo a queste trasformzioni. La Fiat 508C/1100 fu la più popolare seguita dalla Fiat 500 Topolino e dalla più costosa ma efficacissima Lancia Aprilia e, in misura minore, dalla sei cilindri Fiat 1500, mentre le 6C Alfa Romeo di serie venivano utilizzate per la massima classe di cilindrata con carrozzerie speciali.

La fabbrica torinese SIATA commercializzo’ nel 1938 una testa per il motore Fiat 500 che divenne di uso universale per le vetture della classe 750 Sport Nazionale. Le valvole in testa ed un carburatore Cozette permisero un aumento di potenza fino a 27 cv a 5000 giri nel 1939 dopo un rialesaggio al limite della classe. Singoli preparatori intervennero sui motori a testa SIATA costruendo vetturette che misero spesso in difficoltà quelle ufficiali . Si distinse in particolare Vittorio Stanguellini che costruì una piccola serie di spider “tipo tank” carrozzate da Torricelli. Il romano Giulio Baravelli vinse il Campionato Italiano Sport Nazionale classe 750cc per il 1938 a 1939 con una di queste macchine.

La foto raffigura il comasco Oreste Cortesi sulla Fiat 500 SIATA Stanguellini spider Torricelli alla partenza della Sanremo-Poggio dei Fiori del 19 maggio 1946.

Svariate decine di vetture Sport Nazionale derivate Fiat 500 furono costruite tra il 1937 e il 1947. Erano per lo più carrozzate spider, ma prima della guerra si videro anche alcune berlinette cosiddette “aerodinamiche”. La maniera più semplice di ottenere uno spider era di segare i montanti laterali…….In tal caso le vetture erano spesso elencate come “Fiat 500 trasformata spider”.

Nella foto la trsformata spider di Strozzi-Turolla alla Mille Miglia del 1947. Turolla era un artigiano ferrarese che costruì diverse vetture Sport Nazionali su meccanica Fiat 500, 1100, 1500.

Diverse vetture nuove si unirono a quelle sopravissute alla guerra per una vivace stagione 1946, svoltasi soprattutto su piccoli circuiti cittadini. Il maggiore successo nella classe arrise al pilota romano Sesto Leonardi, attivo dal 1934 al 1967 e vincitore di 17 titoli italiani nelle varie classi sport entro i 1000cc! La vettura di Leonardi era una SIATA costruita nel 1940 per il Gran Premio Brescia (Mille Miglia) carrozzata spider da Motto e preparata da Stanguellini. Nel 1946 alla testa SIATA venne sostituita da Stanguellini una testa Marino, costruita in piccola serie da Marino Brandoli nella sua officina torinese. Un’ottimistica stima di 37cv fu dichiarata nel 1947.

Per la stagione 1947 fu deciso di riaprire le partecipazioni alla categoria Sport a regolamentazione internazionale (Annexe C). I motori furono molto più liberamente trattati e i telai Topolino , ormai insufficienti per le potenze raggiunte, furono spesso sostituiti da telai tubolari seppure per lo più di fattura artigianale.

Leonardi montò uno dei primi motori Giannini G1 sulla sua vettura ancora a telaio Topolino e dotato ancora di testa Marino. Il motore G1 aveva un terzo supporto aggiunto al monoblocco Fiat. Il radiatore era ancora montato posteriormente al motore come nella Fiat 500 originale. Leonardì domino’ la prima parte della stagione, accumulando un numero sufficiente di punti per permettergli di vincere il campionato italiano. Il suo grande avversario fu il parmense Carlo Pesci che vinse tutte le gare della seconda metà della stagione sfruttando le doti di uno speciale motore SIATA 750 a cinque supporti aggiunti al blocco Topolino montato su una leggerissima vettura carrozzata da Bertolini di Parma, dopo aver scartato ia graziosa ma troppo pesante spider originale.

La partenza del Circuito di Sanremo, classe 750, 13 aprile 1947. In prima fila a sinistra Pesci, SIATA 750 spider, a destra Leonardi.

La Mille Miglia del 1947 fu vinta pero` da Mario Avalle /Prina seguiti da Pierino Avalle/Sandro Fiorio (il padre di Cresare). I fratelli Avalle avevano un’officina a Torino in cui costruirono vari e diversi esemplari di successo di derivate Fiat 500 per la categoria Sport Nazionale.

Circuito di Sanremo, 13 aprile 1947. Pierino Avalle su SIATA tipo 1940, modificata Avalle, seguito da Carlo Pesci su SIATA 750 spider.

La foto nel frontespizio rappresenta un successivo sviluppo delle vetture degli Avalle: Coppa delle Dolomiti, 11 luglio 1948. Sandro Fiorio su Fiat SIATA Avalle vincitore della classe 750, seguito dalla Fiat 500 Dagrada di Vasco Pasquinelli, ritirato.

La classe 750 annorevava in media 12/15 partenti per corsa, ma alla Mille Miglia del 1947 i partenti nella classe furono circa 40! Non tutte le realizzazioni erano ovviamente raffinate.

Coppa delle Dolomiti, 11 luglio 1948, Giovanni Battista Cavarzerani su Fiat 500 spider preparata da Zanussi a Treviso, carrozzeria Vendrame di Bassano valica un Passo Rolle ancora innevato.

Alcune avevano un aspetto bizzarro: la Fiat 500 Pulidori era stata realizzata in un’officina di Empoli. Era una Sport Internazionale di cui mancano notizio su motore e telaio. Si dimostro’ velocissima alle Mille Miglia del 1947 conducendo la classe 750 fin quasi a Roma.

Circuito delle Cascine, 20 luglio 1947, la Fiat 500 Pulidori.

Nel 1948 i costruttori con maggiori disponibilità economiche cominciarono a pensare di effettuare le fusioni del blocco motore in proprio. Il primo ad operare fu la Casa dell’Auto di Torino produttrice della Testadoro per motori Fiat 500. Quell’anno fu approntato un motore che col Fiat 500 originale aveva in comune la sola misura dell’interasse dei cilindri di 61mm. Il telaio era tubolare a traliccio. Le Testadoro furono piacevolmente carrozzate da Zagato e corsero con successo nel 1949. Il loro aspetto era ormai quello di una vera macchina da corsa.

La Testadoro 750 Marinella Zagato vittoriosa alla Coppa Michelin del 4 settembre 1948, con alla guida il titolare della Casa dell’Auto Giorgio Giusti.

Gli altri costruttori dovettero correre ai ripari e Stanguellini varò nel 1950 una testa bialbero per un blocco da 750cc, cambiando totalmente in questo modo l’architettura originale del motore Fiat. Stanguellini fu seguito presto da Giannini con il bialbero G2 per le Giaur di Taraschi. L’unica caratteristica che richiamava le origini era la misura dell’interasse dei cilindri., ma senza le Topolino speciali non vi sarebbe stata classe 750cc categoria Sport nelle corse italiane.

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Invité §bep134Bm

 

 

 

BASTAVA UNA "TOPOLINO" ED I SOGNI DIVENTAVANO REALTA'

 

 

[h3]

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Invité §bep134Bm

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ECCO PERCHE' LA TARGA NON E' STATA UNA GARA QUALSIASI.

 

ECCO PERCHE' TUTTO CIO' CHE OGGI RICORDA LA TARGA ..... DEVE ESSERE TRATTATO SOLTANTO "AL MEGLIO".

 

Magari ..... datela Voi la voce a tutti quei "pazzi" che stavano lì e che gesticolavano al passaggio di Brian Redman con la sua 908/3 "frecciata" ...

 

 

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CHIEDI COS'ERA LA TARGA FLORIO

 

 

 

 

COSI' CANTAVANO GLI STADIO NEL 1984

[h3]Chiedi chi erano i Beatles[/h3][h5]Stadio[/h5]

Norisso - Curreri

Se vuoi toccare sulla fronte il tempo

che passa volando

in un marzo di polvere e di fuoco

e come il nonno di oggi sia stato

il ragazzo di ieri,

se vuoi ascoltare

non solo, per gioco

il passo di mille pensieri

chiedi chi erano i Beatles

 

Se vuoi sentire sul braccio

il giorno che corre lontano

e come una corda di canapa

è stata tirata,

o come la nebbia è inchiodata alla mano

fra giorni sempre più brevi

se vuoi toccare col dito

il cuore delle ultime nevi

chiedi chi erano i Beatles

 

Chiedilo a una ragazza di quindici anni di età

chiedi chi erano i Beatles

e lei ti risponderà

la ragazza bellina

col suo naso garbato,

gli occhiali e con la vocina

chi erano mai questi Beatles

lei ti risponderà!

 

I Beatles non li conosco

e neanche il mondo conosco

Sì sì conosco Hiroshima,

ma del resto ne so molto poco.

Ha detto mio padre:

"L'Europa bruciava nel fuoco."

Dobbiamo ancora imparare, siamo nati ieri, siamo nati ieri.

 

Dopo le ferie d'agosto,

non mi ricordo più il mare.

Non ricordo la musica,

fatico a spiegarmi le cose.

Per restare tranquilla,

scatto a mia nonna le ultime pose

chi erano mai questi Beatles

 

Voi che li avete girati nei dischi e gridati

voi che li avete aspettati ascoltati bruciati e poi scordati

voi dovete insegnarci con tutte le cose

non solo a parole

chi erano mai questi Beatles

chi erano mai questi Beatles

 

La pioggia cade presto asciugata dal sole.

Un fiume scorre su un divano di pelle.

Ma chi erano mai questi Beatles

Le auto hanno brusche fermate

e le radio private

mettono in onda

la nebbia e le vecchie paure.

Chi erano mai questi Beatles

 

Di notte,

sogno città che non hanno mai fine.

Sento tante voci cantare

e laggiù gente risponde.

Nuoto fra le onde di sole,

cammino nel cielo del mare.

Chi erano mai questi Beatles

Chi erano mai questi Beatles

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Invité §bep134Bm

MA CERTE VOLTE, LE CONDIZIONI DELLA MACCHINA PARLANO DA SOLE: NON E' STATA UNA CORSA MA UN AUTENTICO COMBATTIMENTO

GRAZIE DON VINCENZO !!!

beppe

 

 

 

34 Lancia Aurelia B20 competizione - F-Bonetto (16).jpg

 

 

26 Lancia Aurelia B20  M-Boffa - V-Maresca (3).jpg

 

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Invité §bep134Bm

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C'ERA UNA PALERMO COSMOPOLITA AI TEMPI DELLA TARGA FLORIO CHE VIVEVA IN UN MONDO D'AVANGUARDIA, PIENO DI ENTUSIASMO PER IL FUTURO. ANCHE LA STORIA DELLA CISITALIA DI STEFANO LA MOTTA NE E' UN ESEMPIO

 

 

LA CISITALIA BIANCA DI STEFANO LA MOTTA

Questa vettura è stata costruita negli anni '40 su richiesta del barone Stefano La Motta di Palermo sfruttando la meccanica e il motore di una Cisitalia, che lo stesso Barone aveva distrutto in un incidente in gara.

 

CISI-3.jpg

Il telaio era stato ordinato e costruito da Colombo in due esemplari: uno per le corse su strada, che è quello montato su questa vettura, e una per le gare in circuito del quale se sono perse le tracce.

La carrozzeria, realizzata dai F.lli Tarantino a Palermo, era dipinto in bianco, il colore utilizzato dal Barone sulle sue vetture da corsa.

 

Dopo aver partecipato a diverse gare del tempo la vettura è stata venduta e, nel '52, con alla guida Casales, aveva ottenuto il record nella classe 1.100 cc. sul tratto da Catania a Palermo.

 

329 Cisitalia Colombo  Gianni Casales (1a).jpg

Pensate, all'epoca della Targa Florio era possibile che un siciliano, con l'aggravante di essere barone, si rivolgesse ad un giovanissimo tecnico d'avanguardia come l'ing. Colombo del quale vale la pena riportare la storia.

 

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Gilberto Colombo, o della leggerezza.

"GILCO" è un nome che suona familiare a tutti gli appassionati di automobilismo sportivo, un marchio che per tutti gli anni Cinquanta fece parte di un'élite industriale: quella costellazione di aziende che animò il momento più ricco di soddisfazioni della prima attività agonistica della Ferrari, e la vide raggiungere il successo internazionale sui circuiti e sul mercato. Ma, al di là del pur fondamentale contributo che rappresenta nella storia dell'automobilismo sportivo del dopoguerra, GILCO è soprattutto un marchio che identifica un modo di progettare e costruire, una concezione dell'attività produttiva che si rivela, alla distanza, un tratto caratteristico dell'industria italiana: una mistura di iniziativa innovatrice nel proporre soluzioni tecnologiche inedite e di agilità nell'utilizzare strutture produttive ridotte ma specializzate. La GILCO costituisce un caso emblematico di questa commistione di inventiva e agilità: la "leggerezza strutturale" non è solo il concetto ingegneristico che costituì la sua ragione d'essere come industria, ma anche - si potrebbe dire - la componente essenziale della sua fisionomia come impresa.

 

La GILCO nasce infatti come laboratorio specializzato (poco spazio, pochi tecnici appartenenti ad un'elité operaia dotata di capacità artigianali nelle operazioni manuali) accanto all'azienda paterna, la A.L.Colombo. GILCO vuole dare uno sbocco nuovo a una produzione (quella di tubi d'acciaio) che aveva identificato fin da prima della guerra nella differenzazione delle applicazioni una delle strade di sviluppo più promettenti. Ai tubi per i mobili razionalisti si affiancavano, nella tradizione aziendale, i tubi per i telai da bicicletta; la produzione bellica aveva messo in contatto l'azienda con le tecnologie aeronautiche; ora, nel momento della ricostruzione e della ripresa, un campo nuovo si prospettava particolarmente favorevole: la produzione di telai automobilistici sportivi avrebbe costituito una occasione di espansione di questo patrimonio di cultura industriale.

 

Ma per dare ragione di questa scelta occorre ricostruire, dietro alla sigla GILCO, il nome completo di Gilberto Colombo, e la sua personalità di progettista. Nonostante le realizzazioni che gli diedero la fama di tecnico raffinato nel mondo dell'automobile, nel caso di Gilberto Colombo la parola "macchina" ha un senso ben più ampio, più vicino a quello dell'ingegneria rinascimentale che non a quello della tecnologia ottocentesca: macchina è tutto ciò che organizza la materia in funzione di uno scopo, tutto ciò che è costruzione, risoluzione con mezzi artificiali di problemi posti all'attività umana dalle condizioni naturali: far correre più velocemente un'automobile da corsa, utilizzare meglio il vento in un'imbarcazione, ma anche costruire una casa oppure - con un salto netto di scala - studiare il manubrio di una bicicletta che possa essere impugnato in modi diversi.

 

Questo modo aperto di percorrere ogni dimensione della tecnica è anche l'aspetto che fa di Gilberto Colombo un progettista nel senso pieno della parola: l'altra caratteristica di primo piano del suo lavoro è la capacità di risalire, per risolvere il singolo problema tecnico, all'insieme del prodotto finale. Il telaio dell'automobile non è concepibile senza un'idea di come apparirà la vettura finita, la questione non sta solo nel risolvere un problema di rigidità in presenza di forti sollecitazioni o di aderenza delle ruote in condizioni critiche; sullo sfondo c'è sempre un'immagine complessiva, anche estetica, di come sarà l'intera auto che nascerà intorno a quel telaio. E' per questa sua consapevolezza dell'importanza fondamentale dell'insieme del prodotto, oltre che per la sua capacità di tecnico, che Gilberto Colombo divenne negli anni Cinquanta uno dei protagonisti della rinascita di una tipologia automobilistica: la Gran Turismo, una macchina in cui si univano il massimo di raffinatezza tecnologica e il massimo di cura dell'immagine.

 

Il lavoro della GILCO si inserisce così a pieno titolo in entrambi gli aspetti che la produzione dell'automobile assume in quegli anni: momento di punta della produzione industriale e al tempo stesso simbolo del "miracolo economico" nell'immaginario popolare. La produzione della GILCO coincide infatti con gli anni dell'esplosione quantitativa dell'auto: come ricorda Gianfranco Petrillo (cfr. "La capitale del miracolo", Milano, Franco Angeli, 1992, p.55) nel 1960 nella provincia di Milano erano immatricolate 221.597 autovetture, contro le 49.280 del 1950. Ma il boom dell'auto era anche culturale: in quei dieci anni l'auto in Italia acquisì una straordinaria carica mitica in gran parte grazie all'affermarsi della tipologia di auto veloce, lussuosa, tecnicamente d'avanguardia nella cui definizione l'attività di Gilberto Colombo ebbe tanta parte. E conferire significato culturale alle soluzioni tecniche è la sostanza del design.

 

Nel panorama del design italiano di quegli anni, che è opera di architetti (cioé di artisti che si confrontano con la tecnologia), il design di Gilberto Colombo proviene dalla direzione opposta: parte dalla tecnologia e ne scopre le potenzialità estetiche, rivelandosi anche in questo, agli occhi di un osservatore di oggi, un fenomeno in qualche modo vicino a posizioni che l'architettura e il design contemporanei (soprattutto negli Stati Uniti e in Germania) riaffermano con sicurezza.

 

 

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Invité §bep134Bm

C'ERA UNA PALERMO COSMOPOLITA AI TEMPI DELLA TARGA FLORIO CHE VIVEVA IN UN MONDO D'AVANGUARDIA, PIENO DI ENTUSIASMO PER IL FUTURO. ANCHE LA STORIA DELLA CISITALIA DI STEFANO LA MOTTA NE E' UN ESEMPIO

 

 

LA CISITALIA BIANCA DI STEFANO LA MOTTA

 

 

 

1001 Cisitalia 202 SMM S-La Motta - G-Alterio (1).jpg

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Invité §bep134Bm

 

OGGI LA STORIA NON ASSEGNA A CLEMENTE BIONDETTI IL POSTO CHE SI E' MERITATO.

 

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NELLA SUA LUNGA CARRIERA POTE' VANTARE TRE PARTECIPAZIONI ALLA 24 ORE DI LE MANS (NEL '38, NEL '51 E NEL 53) E BEN OTTO TARGHE FLORIO, COMPRESE TRA IL 1927 ED IL 1954.

UNA STORIA CHE VALE LA PENA RICORDARE, DI UN UOMO, UN PILOTA ..... PER DIRLA IN SICILIANO...: TUTTO SOSTANZA

 

 

 

(In filosofia per sostanza, dal latino substantia, ricalcato dal greco ὑποκείμενον (hypokeimenon), letteralmente traducibile con "ciò che sta sotto", si intende ciò che ènascosto all'interno della cosa sensibile come suo fondamento ontologico. La sostanza è quindi ciò che di un ente non muta mai, ciò che propriamente e primariamente è inteso come elemento ineliminabile, costitutivo di ogni cosa per cui lo si distingue da ciò che è accessorio, contingente, e che Aristotele chiama accidente. Per sostanza, in altre parole, si intende ciò che è causa sui, ovvero ha la causa di sé in se stessa e non in altro.)

 

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CLEMENTE BIONDETTI il più grande stradista italiano Corse nove Mille Miglia e ne vinse quattro, un record ineguagliato Parlare di Clemente Biondetti, e rievocarne vita e gesta a sessant’anni dalla morte, pare quasi una riparazione nei confronti di una vita che non gli rese giustizia.

Non fu solo il cancro, che se lo portò via a cinquantasette anni dopo molti mesi di sofferenza; il “Biondo” dovette sempre combattere contro nemici più o meno insidiosi per conquistarsi la meritata fama, per ottenere il riconoscimento del suo valore, o anche soltanto una macchina con cui correre. I numeri della sua vita: duecento corse, tra cui nove Mille Miglia, 138 volte classificato, quindici marche tra auto e moto pilotate, oltre trent’ anni di attività corsaiola.

Un carattere considerato difficile, o forse solo poco accomodante, impulsivo e sanguigno, sincero e leale, un combattente nato, uno che non risparmiava mai né sé, né i suoi soldi, se si trattava di correre. Da giovane ostentava un viso tagliato dall’accetta, duro e quadrato come un pugile del Bronx; da più anziano un viso come smarrito, che una profonda cicatrice sulla fronte, testimonianza di uno spaventoso incidente, rendeva bizzarro. Toscano fino all’osso, anche se nato in Sardegna (a Buddusò, in provincia di Cagliari, nel 1898, lo stesso anno di Ferrari) e di padre veneto, aveva cominciato ad appassionarsi al motorismo fin da ragazzo, nell’officina di riparazioni di automobili a Firenze di Roberto Barsanti.

Lì, nel primo dopoguerra, convenivano anche altri giovani fiorentini di buona e ottima famiglia: i conti Carlo e Giulio Masetti, il marchese Niccolini, il conte Gastone Brilli Peri (primo campione del mondo con l’Alfa Romeo nel 1925) ed Emilio Materassi, allora autista della corriera sul tratto Pontassieve – Firenze, che guidava come più tardi avrebbe guidato la sua “Italona” (vedi Auto d’Epoca, novembre 2004).

Il primo a morire di questo gruppo di amici che poi diventarono famosi come quelli “del bar di via Tornabuoni”, fu Barsanti, che si uccise nel 1921 nel chilometro lanciato alle Cascine.

Primo di una lunga serie che fece lentamente il vuoto intorno a Biondetti: egli vide morire Masetti in Sicilia, Materassi a Monza, Brilli Peri a Tripoli...

Ma in quegli anni, tra il 1919 e il 1923, non esisteva spazio per pensieri di questo genere. Anzi, come tutti i giovani pensava probabilmente di essere immortale e si buttava nella mischia con un coraggio che sfiorava l’incoscienza, e non sempre ne usciva senza conseguenze.

Con la moto acquistata grazie ai risparmi lira su lira, una Galloni 500, aveva debuttato alla torinese Sassi – Superga nel 1923, e colse la sua prima vittoria (di categoria) alla Vermicino -–Rocca di Papa e sul circuito messinese dei Monti Peloritani su una Galloni 750. Tra il 1924 e il 1925 gareggiò con tre moto diverse, la Norton 500 (vittoria al Circuito Pisano), la Excelsior 350 e la A.J.S. 350, con cui si aggiudicò il Campionato Pisano del 1925. Nel 1926, un terribile incidente al circuito motociclistico di Ostia, sul ponte della Decima, località vicino ad Ostia. Un ponte troppo stretto perché vi passassero in due.

Tentarono di passarvi in tre, Biondetti e altri due concorrenti, Bassi e Boris. Il risultato fu Bassi morto sul colpo, Boris moribondo e Biondetti fermo un anno per ventiquattro fratture.

Anche questo fu tra i motivi che lo spinsero, l’anno dopo, a tentare la sorte con le automobili.

L’età era già rispettabile, ventinove anni suonati. Fu attirato, inizialmente, dalle vetturette 1100, allora dominate da Abele Clerici, ed alla Terni – Passo della Somma del 1927 eccolo al volante della piccola Salmson con cui si iscrisse ad una ventina di gare, fino a metà stagione del 1929 (con una parentesi in cui corse per le Talbot della Scuderia Materassi).

Colse una dozzina di vittorie di categoria (al Criterium Roma e alla Coppa Ciano nel 1927; alla Susa – Moncenisio, al circuito del Montenero, alla Coppa Ciano e alla Coppa Leonardi nel 1928) e nel 1929 si laureò Campione Italiano 1100.

La sua vettura successiva fu una Bugatti 2000, con cui arrivò la sua prima vittoria assoluta, alla Collina Pistoiese del 1929, seguita da un identico successo sulla ligure Pontedecimo – Giovi e da un secondo posto alla Vermicino – Rocca di Papa, dove aveva debuttato in moto sei anni prima. Nel 1930 alternò la Bugatti con una Talbot e anche con la Salmson. I risultati furono buoni: quattro vittorie assolute, alla Coppa Pierazzi – Grosseto, alla Coppa della Consuma, alla 900 metri lanciati di Viareggio, alla Coppa Massarose – Camaiore; molte vittorie di categoria ed anche un terzo posto al Gran Premio di Tripoli.

Al termine della stagione, il titolo di Campione Italiano 1500. Nel 1931, al volante ora di una Maserati, ora della Bugatti, ottenne risultati meno incoraggianti. Una vittoria assoluta alla Coppa Pierazzi – Grosseto, qualche buona vittoria di categoria, come per esempio quella alla Susa Moncenisio e al Gran Premio di Roma (dove arrivò terzo assoluto), un terzo posto al Gran Premio di Francia.

Ma sono risultati inferiori alle sue speranze e alle sue aspettative. Seguirono cinque anni di stallo. Biondetti, privo di una buona macchina e di un ingaggio decente, non era tipo da starsene con le mani in mano. Nel 1931 si iscrisse al Gran Premio d’Italia del 24 maggio su un ibrido da lui assemblato utilizzando un motore Maserati e un telaio Bugatti (da cui M.B.).*

Si tratta presumibilmente della stessa vettura che Luigi Premoli, Campione Italiano 1930 e 1931 per la categoria fino a 1100, mise a punto e usò alla Pontedecimo – Giovi 1932 e quindi portò alla vittoria alla successiva Sassi - Superga, battezzandola poi P.M.B. (Premoli Maserati Bugatti).

Una bella soddisfazione per Biondetti, che riuscì ad andare sui giornali non come pilota ma come costruttore: infatti Premoli colse la vittoria assoluta a quasi 68 km/h di media, imponendosi su 51 avversari. Il R.A.C.I. indica la vettura nel testo come M.B. (“Pur con una superficiale conoscenza del percorso, Premoli ha tenuto quasi 68 km/h di media pilotando la M.B., la vettura costruita da Biondetti con motore Maserati 2800 cc su chassis Bugatti che lo stesso Premoli ha messo a punto”) e nelle didascalie come B.M. (“Il conte Premoli 3 sulla B.M. con la quale ha vinto battendo il record”). Auto Italiana incorre nella stessa contraddizione: nel testo è M.B. (“la vittoria assoluta toccò … al conte Premoli che dopo di essere riuscito a dimostrare, nella Pontedecimo – Giovi, che la complicata costruzione M.B. già del buon Biondetti era in grado finalmente di marciare, dimostrò a Superga che oggi è in grado di vincere”), e nelle didascalie B.M. (“Premoli su B.M. 2800 a metà percorso”).

Quel “finalmente” potrebbe adombrare difficoltà di messa a punto, risolte dal successivo intervento di Premoli, che forse sono la causa del mancato utilizzo a Monza l’anno prima. Nelle stagioni 1932 e 1933 sia Premoli sia Biondetti gareggiarono in contemporanea in diverse gare utilizzando perciò almeno due versioni di questo ibrido.

Colui che ne riportò più soddisfazioni fu Premoli, che nel 1934 si aggiudicò quattro vittorie (di cui una persa per squalifica) e un terzo posto. Biondetti ottenne sì qualche qualificazione, ma poca roba: nel 1932 si classificò una volta sola, al circuito del Lago di Bolsena, quattro volte nel 1933, cinque nel 1934. Ma nessun risultato eclatante.

Nel 1936 fu ingaggiato finalmente da una grande casa italiana, l’Alfa Romeo, con cui debuttò alla corsa in salita in terra di Francia Develiers-Les Rangers (1° assoluto), per proseguire con la Mille Miglia (quarto), la salita dello Stelvio (terzo). Il grande riscatto arrivò alla Mille Miglia del 1938: una vittoria assoluta su Alfa Romeo 8C 2900B spider, in coppia con Aldo Stefani. Fu una vittoria indimenticabile, ottenuta stabilendo il primato della media più alta (135,391 km/h) che durò fino all’edizione del 1953.

Lo consacrò, o doveva consacrarlo, nel novero dei grandi campioni, alla pari di Nuvolari e Varzi. Quell’anno corse anche alla Parma – Poggio di Berceto (secondo), alla Coppa Ciano (secondo di categoria), e soprattutto al Gran Premio d’Italia (quarto).

Questa fama non si tradusse però in tranquillità economica, in un ingaggio sicuro. Ci si mise anche la guerra ad oscurare i suoi meriti, a farlo dimenticare in fretta, tanto che all’edizione 1947 della Mille Miglia proprio lui si trovò senza macchina. Si trattava di un’edizione che diventò rapidamente il simbolo di un’Italia che voleva uscire dalla povertà, dal dramma della guerra, dalle privazioni: fu definita la “Mille Miglia della rinascita”. Biondetti era finito al margine di tutto questo, costretto a recarsi a Brescia da Firenze in treno, tanto per provare a dare un’occhiata in giro, e vedere se ne poteva uscire qualcosa.

Ma nutriva poche speranze. Invece ebbe un insperato colpo di fortuna: incontrò Emilio Romano, pilota e preparatore, che aveva messo a punto una Alfa Romeo 8C 2900 B, e che gli propose di correre con lui, dribblando la presenza di uno sportivo veronese già prenotato e che, cavallerescamente (magari sollecitato da Romano…) rinunciò in suo favore. Detto, fatto: una stretta di mano, salirono in macchina, partirono… e vinsero. Una vittoria straordinaria, ottenuta a dispetto di tutto, contro i più bei nomi dell’automobilismo mondiale, ottenuta senza quasi preparazione, e con nessun appoggio. Nello stesso tempo, una vittoria alla Biondetti: nel ricordo 4 generale, l’edizione del 1947 è stata quella di Nuvolari, considerato universalmente il vero vincitore, sulle cui vicende sfortunate (condusse tutta la gara in testa, finché durante un temporale violento che lo colse al volante della Cisitalia scoperta lo costrinse a rallentare) si concentrò l’attenzione di tutti.

I giornali parlarono quasi soltanto di lui, già da tempo diventato una leggenda: e l’affermazione inaspettata del pilota toscano quasi passò in secondo piano.

Ultimo, ma simbolico dettaglio: all’arrivo di Biondetti, tale era il maltempo che non vi erano né fotografi né giornalisti, e neanche tanto pubblico. Difficile non risentire di questa ingiustizia subdola, di questo mancato riconoscimento. Biondetti reagì da par suo: gli anni 1948 e 1949 segnarono l’apice della sua carriera sportiva.

In entrambi gli anni, durante i quali corse come pilota Ferrari con una 166, vinse il Giro della Sicilia e la Mille Miglia (insieme a Navone nel 1948 e a Salami nel 1949), oltre che il Gran Premio di Svezia ed altre gare minori: si classificò comunque in altre 17 competizioni.

Fu sicuramente uno dei più fertili piloti Ferrari del periodo. I suoi risultati lo dimostrarono tra i più forti stradisti del mondo, dotato di intelligente capacità tattica e di un istinto naturale che gli permetteva di sfruttare al meglio le doti proprie e della vettura, inserendosi magistralmente nelle défaillances altrui.

Né abbandonò il suo antico “vizio” di trafficare su telai e motori cercando di mettersi insieme da solo la “macchina perfetta”. Tramontata la “BiondettiMaserati” o “Maserati – Bugatti”, cercò nel 1947 di realizzare una otto cilindri mettendo insieme otto motori Norton da 500 cc che, sembra, era andato a comprare in Inghilterra. Il risultato fu un’accozzaglia senza senso alcuno, che non ebbe seguito.

Molto più serio il tentativo successivo. Le sue splendide vittorie gli erano valse un abboccamento, al Salone Internazionale di Ginevra del 1950, con Lofty England, della Jaguar, intenzionato ad offrirgli una guida per la stagione sportiva su una XK120.

Trattandosi di modelli nuovi, i dirigenti della casa britannica erano desiderosi di guadagnare dall’esperienza sul campo dati utili per la messa in produzione, e avevano perciò bisogno di un buono stradista, di qualcuno che sapesse usare le macchine e condurle al traguardo, se non addirittura vincere. Biondetti poteva essere l’uomo giusto al momento giusto, tanto più che era nota nell’ambiente la sua crescente insofferenza verso le case italiane che, a dispetto di quanto era riuscito a fare (nessun pilota, né prima di lui né dopo, colse quattro vittorie alla Mille Miglia e due alla Targa Florio), tendevano a considerarlo un pilota di secondo piano.

Sarà stata l’età, od altro, ma questa ineliminabile “marginalità” perseguitava Biondetti da anni. Non ebbero da sudare molto, i dirigenti Jaguar, per convincerlo ad accettare una delle nuove XK120 per la Targa Florio prevista al successivo 2 aprile.

Fu un’ottima gara, anche se sfortunata: Biondetti era secondo, con due minuti su Bracco, tre su Marzotto e quattro su Villoresi (davanti a sé soltanto uno scatenato Alberto Ascari) quando la rottura di una biella lo costrinse al ritiro.

Tutto sommato, per essere la prima gara, ne furono tutti soddisfatti, a maggior ragione Biondetti che fece sapere alla Jaguar di 5 essere interessato sia a guidare una loro macchina a Le Mans e a Spa, sia a ricevere un motore da montare su un telaio Maserati, per realizzare la sua personale “Jaguar special”.

Prima di Le Mans e di Spa vi era la Mille Miglia, a cui si iscrissero quattro Jaguar XK, una affidata a Biondetti. Questi, dopo una serie infinita di guasti e disguidi che avrebbero scoraggiato chiunque, non lui, il “never-say-diedriver”, come fu definito dai dirigenti della Jaguar, resistette a tutto (persino alla rottura di una sospensione) e si classificò ottavo. “Mi è spiaciuto molto non aver vinto come mi immaginavo, conoscendo i punti di forza e di debolezza degli altri piloti come li conosco io.

Se non fosse stato per quella sospensione e il costante battito in testa, e cambiando una sola gomma…sono sicuro che avrei perso meno tempo della differenza finale tra il tempo del vincitore e il mio. Volevo ritirarmi a un certo punto ma non l’ho fatto per non danneggiare il nome della Jaguar…” scrisse alla casa britannica il giorno dopo la gara.

Questo però non gli impedì di rivolgersi nuovamente a loro per ottenere una vettura da modificare, il suo solito chiodo fisso. Obiettivo: farla pagare alle case italiane, opponendo loro un modello Jaguar alleggerito di 250 kg.

La Jaguar accettò, anche per sdebitarsi delle vetture che il toscano era riuscito a piazzare in giro per l’Italia, ma si limitò a concedergli dei motori. A Biondetti poteva bastare.

A Monza, nel settembre dello stesso anno (1950), si presentò con una Ferrari – Jaguar, una vettura con telaio Ferrari, carrozzeria della 166 e motore XK Jaguar, che così per la prima volta, volente o nolente, si trovò a partecipare ad un gran premio di F1. Il risultato non fu eclatante: 15 giri non velocissimi, quindi il ritiro.

La sua “Jaguar Special” gli diede maggior soddisfazione alla Firenze – Fiesole dell’anno successivo, dove arrivò primo e stabilì il record di velocità. Miglior auspicio per la Mille Miglia non poteva ottenere, e vi si iscrisse con grande aspettativa. Enorme delusione fu perciò il ritiro, dopo 140 km di gara, per una torsione del telaio causata dalle pessime strade.

Neanche le gare successive lo resero felice: un terzo posto di classe alla Susa Moncenisio e un secondo alla Aosta - Gran San Bernardo furono i risultati migliori. Alla Mille Miglia del 1952 Biondetti riuscì a sdoppiarsi.

Aveva sperato di poterci partecipare con una C type, quando gli fu inaspettatamente offerta una vettura dalla casa di Maranello. “Aspettai venti giorni prima di dire di sì – scrisse più tardi alla casa di Coventry – non è facile descrivere come è stato triste essere obbligato a tornare alla Ferrari, anche se solo temporaneamente, dopo tutto quello che è successo in questi ultimi anni. Ma l’ho dovuto fare, per non deludere gli sportivi italiani che avrebbero disapprovato una mia assenza dalla Mille Miglia”.

Ed anche per più concreti motivi economici: le spese a cui era andato incontro con le sue “special” erano state pesantissime. Accettò dunque di guidare una Ferrari 225S in coppia con Ercoli, ma iscrisse anche la sua Jaguar Special, guidata dalla coppia Pezzoli – Cazzulani.

Sia il pilota toscano sia la sua vettura dovettero però ritirarsi. Biondetti guidò ancora una Ferrari alla 10 ore Notturna di Messina in coppia con Cornacchia, una gara 6 dal finale drammatico.

La vettura, in testa, era rimasta pressoché priva di sospensione e l’ultimo giro che Cornacchia compì fu una tortura sia per chi guidava sia per Biondetti che assisteva. All’arrivo, finalmente un primo posto.

Nel 1953, ancora una Mille Miglia, terminata ottavo al volante di una Lancia D20 in coppia con Barovero, e una bellissima vittoria alla Coppa della Toscana. E quando si imbarcò nella stagione 1954, aveva 55 anni e già sapeva di essere stato colpito da cancro alla gola (una foto scattata in quegli ultimi mesi lo ritrae con al collo una pesante sciarpa…e tra le dita una sigaretta).

Nonostante questo vinse con una Ferrari la 6 Ore di Bari e arrivò secondo al Giro delle Calabrie, quarto all’ennesima Mille Miglia, quarto al Giro d’Italia, quinto alla Targa Florio.

Quando morì, in una gelida mattina del febbraio 1955, Franco degli Uberti su Auto Italiana scrisse: “Con Clemente Biondetti è una gran parte della storia del nostro automobilismo che perde l’ultimo addentellato con quell’epoca in cui ancora lo sport sapeva di romanticismo più che non di speculazione, di interesse commerciale e di ambizioni, con quell’epoca in cui chi aveva la passione si arrangiava a sfogarla come poteva anche ritirandosi sempre, anche “tappezzando la casa di cambiali” come diceva ad un collega il pilota scomparso”.

E se questo si poteva già dire cinquant’anni fa…

 

Scritto da Donatella Biffignandi Centro di Documentazione del Museo Nazionale dell’Automobile di Torino 2005

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Invité §bes888PR

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ReportageSicilia è un blog - per me - meritoriamente dedicato alla Sicilia. E la Targa Florio è stata la Sicilia.

Dedicate qualche minuto del Vostro tempo per leggere - PER INTERO - un suo recente post.

Se il silenzio è un "articolo" spesso molto diffuso, qualcuno - tuttavia - pensa sia doveroso romperlo.

Cliccate, se interessati, su questo link :

http://reportagesicilia.blogspot.it/…/lincomprensibile-deva…

 

 

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Qui passava la TARGA FLORIO

 

 

 

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Invité §bep134Bm

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ReportageSicilia è un blog - per me - meritoriamente dedicato alla Sicilia. E la Targa Florio è stata la Sicilia.

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VEROSIMILMENTE, MA DOVRA' ESSERE IL LEGALE A VALUTARLO, CI TROVIAMO IN PRESENZA DI UN AUTENTICO REATO PERSEGUIBILE AI SENSI DI LEGGE PERCHE':

1) SI TRATTA DI UN BENE DELLO STATO DANNEGGIATO (SE HAI UN INCIDENTE IN AUTOSTRADA E DANNEGGI IL GUARDRAIL TI ARRIVA L'INGIUNZIONE DI PAGAMENTO DALL'AVVOCATO DELL'ENTE);

2) SI TRATTA DI UN BENE MONUMENTALE COSTRUITO DA PIU' DI 50 ANNI

3) SI TRATTA DI UN DANNO ARRECATO AD UN BENE DICHIARATO, PER LEGGE, PATRIMONIO DELLA REGIONE SICILIANA.

SE ILLECITO C'E' STATO DEVE ESSERE SANCITO E PUNITO ADEGUATAMENTE ED I FUNZIONARI DICHIARATI COLPEVOLI DEVONO PERDERE IL POSTO DEL QUALE NON SONO STATI DEGNI.

NON E' POSSIBILE CHE, CHI E' PREPOSTO ALLA TUTELA DEL NOSTRO PATRIMONIO CULTURALE, POSSA DISATTENDERE L'OBBLIGO DI VIGILARE, CHE NULLA SUCCEDA E CHE LO STESSO FUNZIONARIO CONTINUI A RIMANERE SEDUTO AD UNA TROPPO COMODA - E BEN REMUNERATA - POLTRONA.

beppe

 

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PROCEDURA PER I BENI APPARTENENTI AD ENTI PUBBLICI E A PERSONE GIURIDICHE PRIVATE SENZA SCOPO DI LUCRO

I beni di proprietà pubblica e di persone giuridiche private senza scopo di lucro realizzati da almeno 50 anni e che presentino interesse storico-artistico restano sottoposti alle disposizioni di tutela anche in assenza di formale dichiarazione di interesse, almeno sino al momento della verifica dell’interesse culturale (Codice , art.12).

Dunque, sino all’effettuazione della verifica qualsiasi intervento sui beni deve essere autorizzato dalla Soprintendenza (Codice , art.21, comma 4), i beni stessi sono inalienabili (Codice , art.54 e seguenti) e non può essere attivata la procedura per l’eventuale erogazione di contributi da parte del Ministero.

La Soprintendenza provvede a fornire il proprio motivato parere circa la sussistenza o meno dei requisiti di interesse culturale degli immobili di proprietà pubblica al Segretariato Regionale del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo per la Sardegna , ufficio che conduce il procedimento di verifica che si conclude con la dichiarazione d’interesse, oppure con l’attestazione della mancanza di interesse.

......

OBBLIGHI DEI POSSESSORI DEI BENI SOTTOPOSTI A TUTELA

I possessori dei beni sottoposti a tutela hanno l’obbligo di comunicare alla Soprintendenza il trasferimento di proprietà dei beni, di provvedere alla loro conservazione, e di richiederel’autorizzazione per l’esecuzione di qualunque intervento da effettuare.

In relazione ai beni architettonici deve essere autorizzata anche la modifica di destinazione d’uso e la collocazione di cartelli pubblicitari e insegne. E’ inoltre obbligatorio, nei casi in cui viene individuata un’area cosiddetta di rispetto del bene, attenersi alle prescrizioni di tutela indiretta che dettano distanze, misure, ed altre norme a salvaguardia della prospettiva e del decoro del bene stesso.

Quanto ai beni mobili, è vietato lo smembramento delle collezioni, e deve essere richiesta l’autorizzazione per gli spostamenti, anche temporanei, dei beni dalla loro sede, per l’esposizione in mostre e per l’uscita temporanea dei beni dal territorio nazionale per manifestazioni di alto interesse culturale (vedi sezione prestito temporaneo di beni culturali per mostre). Salvo particolari eccezioni, è vietata l’uscita definitiva dei beni tutelati dal territorio nazionale (vedi sezione circolazione dei beni ). (Codice , artt. 21- 24, 27, 30-31, 48-49, 59, 65-66)

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Invité §bep134Bm

 

 

 

 

ECCO L'EVENTO CHE, NELL'ANNO DELLA 100° TARGA FLORIO, SARA' REPLICATO CON PRESENTAZIONI IN TUTTA ITALIA

 

 

UN VERO TOUR DE FORCE CHE, A MODO SUO, RIEVOCHERA' LA PIU' BELLA CORSA DEL MONDO ED I SUOI PROTAGONISTI.

 

 

SI TRATTA DI UN LIBRO GIALLO CHE TRAE SPUNTO DA EVENTI REALMENTE ACCADUTI IN QUELLA SICILIA CHE NON FINIRA' MAI DI STUPIRE.

 

 

A PALERMO IL 6 APRILE L'INCONTRO CON L'AUTORE, PRESENTE L'ASSOCIAZIONE PILOTI DELLA TARGA FLORIO 1906/1977, SARA' CONDOTTO DA GIANNI NOTARO EDITORIALISTA DI MOTORI360°

 

 

A CALTANISSETTA IL 9 APRILE L'INCONTRO SARA' CONDOTTO DAL NOSTRO "TRITONE"

 

 

SEGUIRANNO INCONTRI A CATANIA, ACIREALE, A RIVA DEL GARDA, A BOLZANO, A ROMA - CONDOTTO DA GAETANO SAVATTERI -, IN TOSCANA ED IN TANTE ALTRE LOCALITA' ITALIANE.

 

 

OVVIAMENTE GLI APPASSIONATI DELLA TARGA SONO TUTTI INVITATI A PARTECIPARE.

 

 

 

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Invité §bep134Bm

 

 

COME NON RIPORTARE LA SIMPATIA DI UN ARTICOLO CHE RIGUARDA UNO DEGLI AMICI PIU' CARI CHE, OGGI, NON E' PIU' CON NOI.

PARLIAMO DELL'INDIMENTICABILE E BRAVO TOTI SUTERA, PILOTA DELLA TARGA FLORIO.

http://www.formulapassion.it/2016/03/targa-florio-il-prototipo-improbabile/#comment-732565

"COSA NON SI FA PER PARTECIPARE ALLA TARGA FLORIO!!!!" .....ERA STATO IL SUO COMMENTO CHE RENDE TRASCENDENTE LA FOTO DI QUEL MERAVIGLIOSO PROTOTIPO DOVE NON VEDI L'AUTOMOBILE MA SOLO LA BELLEZZA DI UNA PASSIONE SPORTIVA CHE NOBILITA IL MEZZO MECCANICO E CHI LO GUIDA . .....

 

 

Don Chisciotte di Francesco Guccini

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Canzone per la prima volta pubblicata nell'album "Stagioni" del 2000

 

 

[ Don Chisciotte ]

 

Ho letto millanta storie di cavalieri erranti,

di imprese e di vittorie dei giusti sui prepotenti

per starmene ancora chiuso coi miei libri in questa stanza

come un vigliacco ozioso, sordo ad ogni sofferenza.

Nel mondo oggi più di ieri domina l'ingiustizia,

ma di eroici cavalieri non abbiamo più notizia;

proprio per questo, Sancho, c'è bisogno soprattutto

d'uno slancio generoso, fosse anche un sogno matto:

vammi a prendere la sella, che il mio impegno ardimentoso

l'ho promesso alla mia bella, Dulcinea del Toboso,

e a te Sancho io prometto che guadagnerai un castello,

ma un rifiuto non l'accetto, forza sellami il cavallo !

Tu sarai il mio scudiero, la mia ombra confortante

e con questo cuore puro, col mio scudo e Ronzinante,

colpirò con la mia lancia l'ingiustizia giorno e notte,

com'è vero nella Mancha che mi chiamo Don Chisciotte...

 

[ Sancho Panza ]

 

Questo folle non sta bene, ha bisogno di un dottore,

contraddirlo non conviene, non è mai di buon umore...

E' la più triste figura che sia apparsa sulla Terra,

cavalier senza paura di una solitaria guerra

cominciata per amore di una donna conosciuta

dentro a una locanda a ore dove fa la prostituta,

ma credendo di aver visto una vera principessa,

lui ha voluto ad ogni costo farle quella sua promessa.

E così da giorni abbiamo solo calci nel sedere,

non sappiamo dove siamo, senza pane e senza bere

e questo pazzo scatenato che è il più ingenuo dei bambini

proprio ieri si è stroncato fra le pale dei mulini...

E' un testardo, un idealista, troppi sogni ha nel cervello:

io che sono più realista mi accontento di un castello.

Mi farà Governatore e avrò terre in abbondanza,

quant'è vero che anch'io ho un cuore e che mi chiamo Sancho Panza...

 

[ Don Chisciotte ]

 

Salta in piedi, Sancho, è tardi, non vorrai dormire ancora,

solo i cinici e i codardi non si svegliano all'aurora:

per i primi è indifferenza e disprezzo dei valori

e per gli altri è riluttanza nei confronti dei doveri !

L'ingiustizia non è il solo male che divora il mondo,

anche l'anima dell'uomo ha toccato spesso il fondo,

ma dobbiamo fare presto perché più che il tempo passa

il nemico si fà d'ombra e s'ingarbuglia la matassa...

 

[ Sancho Panza ]

 

A proposito di questo farsi d'ombra delle cose,

l'altro giorno quando ha visto quelle pecore indifese

le ha attaccate come fossero un esercito di Mori,

ma che alla fine ci mordessero oltre i cani anche i pastori

era chiaro come il giorno, non è vero, mio Signore ?

Io sarò un codardo e dormo, ma non sono un traditore,

credo solo in quel che vedo e la realtà per me rimane

il solo metro che possiedo, com'è vero... che ora ho fame !

 

[ Don Chisciotte ]

 

Sancho ascoltami, ti prego, sono stato anch'io un realista,

ma ormai oggi me ne frego e, anche se ho una buona vista,

l'apparenza delle cose come vedi non m'inganna,

preferisco le sorprese di quest'anima tiranna

che trasforma coi suoi trucchi la realtà che hai lì davanti,

ma ti apre nuovi occhi e ti accende i sentimenti.

Prima d'oggi mi annoiavo e volevo anche morire,

ma ora sono un uomo nuovo che non teme di soffrire...

 

[ Sancho Panza ]

 

Mio Signore, io purtoppo sono un povero ignorante

e del suo discorso astratto ci ho capito poco o niente,

ma anche ammesso che il coraggio mi cancelli la pigrizia,

riusciremo noi da soli a riportare la giustizia ?

In un mondo dove il male è di casa e ha vinto sempre,

dove regna il "capitale", oggi più spietatamente,

riuscirà con questo brocco e questo inutile scudiero

al "potere" dare scacco e salvare il mondo intero ?

 

[ Don Chisciotte ]

 

Mi vuoi dire, caro Sancho, che dovrei tirarmi indietro

perchè il "male" ed il "potere" hanno un aspetto così tetro ?

Dovrei anche rinunciare ad un po' di dignità,

farmi umile e accettare che sia questa la realtà ?

 

[ Insieme ]

 

Il "potere" è l'immondizia della storia degli umani

e, anche se siamo soltanto due romantici rottami,

sputeremo il cuore in faccia all'ingiustizia giorno e notte:

siamo i "Grandi della Mancha",

Sancho Panza... e Don Chisciotte!

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Invité §bep134Bm

 

CI SONO PILOTI CHE HANNO FATTO LA STORIA DELLA TARGA E CI SONO TARGHE CHE HANNO FATTO LA STORIA DEI PILOTI E DELL'AUTOMOBILE, DI CASA FLORIO PREFERITA AGLI AGNELLI, DI UNA VITTORIA ALLA TARGA DEL 1923...... LA STORIA INCREDIBILE DELLA TARGA CHE NON FINIRA' MAI DI STUPIRE.

beppe

 

 

UGO SIVOCCI, ENZO FERRARI E LA TARGA FLORIO

UNA SOLA CONSIDERAZIONE: IL FINALE DELLA TARGA FLORIO DEL 1923 SUPERA LA FANTASIA, ED ANCHE PER QUESTO LA TARGA FLORIO ERA E SARA' SEMPRE "UNIQUE"

 

Ugo Sivocci non è tra i piloti entrati nella leggenda, non diventa il nome ricordato e scandito dalle folle. Fu di quei piloti preziosi ed oscuri, più collaudatori che corridori, che arrivano d’improvviso alla notorietà del grande pubblico grazie ad una vittoria eclatante, in grado di premiare d’un colpo anni e anni di lavoro svolto infaticabilmente alle spalle di compagni più noti, loro sì idoli del pubblico. Nato a Milano nel 1885, si appassiona al ciclismo sulle orme del più famoso fratello Alfredo. Dal ciclismo però è difficile trarci da campare, e il giovane Ugo è costretto a guardarsi intorno e cercarsi un lavoro, lasciando perdere le due ruote. La sua carriera professionale inizia come collaudatore presso la De Vecchi Strada & C. (poi De Vecchi & C.), azienda automobilistica milanese che espone i suoi modelli ai Saloni di Milano e Torino fin dal 1906. Poco prima della guerra, nel 1913, proprio Sivocci ottiene il primo risultato sportivo della casa: è secondo di categoria alla Parma – Poggio di Berceto.

Ben più rilevante il risultato della seconda gara a cui partecipa la De Vecchi: Sivocci, con il meccanico Castoldi, e il suo compagno Gloria, con il meccanico Marani, si classificano rispettivamente sesto e terzo alla Targa Florio di quell’anno, al cospetto di vetture ben più collaudate come Fiat, Ford, Mercedes, Scat. Le riviste dell’epoca non mancano di sottolineare il lusinghiero risultato, ottenuto in una gara tra le più dure al mondo (1050 km di strade terribili, che falcidiano i concorrenti), e correndo su vetture con la più piccola cilindrata tra tutte e 34 le partecipanti.

Durante la guerra la De Vecchi traballa, si trasforma in società anonima e si dedica alla costruzione dei motori di aviazione. La situazione però è precaria. Nel 1919 una nuova società, la Costruzioni Meccaniche Nazionali, ne acquista gli edifici in via Vallazze ed evidentemente ne eredita anche gli uomini.

Sarà proprio alla C.M.N. che Sivocci farà uno tra i più importanti incontri della sua vita: quello con il giovane ed inesperto Enzo Ferrari, con il quale stringe un’amicizia indimenticabile.

Ferrari stesso ricorda la figura di Sivocci, nel suo libro di memorie: “Quando poi passai a Milano, alla C.M.N., prima come collaudatore ed in seguito come pilota da corsa, il salario si fece un poco alla volta più sostanzioso. Fu da allora che non ebbi più preoccupazioni digiunatorie…Ad aprirmi le porte di Milano fu Ugo Sivocci, un grande amico. Ci conoscemmo al bar Vittorio Emanuele, a Milano…Ugo era il capo collaudatore di una fabbrica di automobili e abitava in una villetta di piazzale Rotole, famoso in quel tempo per un delitto passionale. La piccola fabbrica, in fondo a via Vallazze, si chiamava C.M.N., Costruzioni Meccaniche Nazionali…In questa fabbrica venivano montati su nuovi telai, con materiali residuati della Isotta Fraschini, i motori 4 CF…Sivocci mi prese dunque con sé alla C.M.N. e fu lavorando con lui che avvertii le prime serie avvisaglie di una piccola vocazione, quella di pilota di automobili da corsa”. Una bellissima immagine, quella del trentaquattrenne Sivocci, dalla carriera solida e sicura, che nel 1919 nota e prende con sé a lavorare il ventunenne Ferrari, senza famiglia e senza un soldo, ma già allora caratterizzato da un qualcosa che lo distingue da tanti altri giovani di belle speranze e molta fame. I due cresceranno rapidamente nella stima l’uno dell’altro.

Insieme, si iscrivono alla Targa Florio del 23 novembre 1919 e partono da Milano sulle stesse macchine C.M.N. con cui avrebbero dovuto gareggiare. Il viaggio per arrivare in Sicilia pare non finire mai, e si rivela anche pieno di insidie: imprigionati da una bufera di neve sull’altopiano abruzzese, sono anche attaccati dai lupi (messi in fuga, racconta Ferrari, anche dagli spari della sua rivoltella). Arrivati fortunosamente a Napoli, Ferrari si rende conto di non potersi permettere il costo del trasporto sul piroscafo “Città di Siracusa” della sua vettura. “Una specie di solidarietà tra poveri diavoli – credo che non avessi in tasca più di 450 lire – pose i facchini al mio servizio, convinse i marittimi a ritardare la partenza, permise a me, a Sivocci e ad altri piloti di raggiungere Palermo sia pure a prezzo di una notte di tregenda, con il mare agitato e assalti di cimici”. Con un viaggio così, è già un miracolo presentarsi alla linea di partenza. Sivocci e Ferrari ce la fanno, ma le avventure non sono finite, Ferrari finisce addirittura dentro un corteo in onore di Vittorio Emanuele Orlando, l’uomo “della vittoria mutilata”, e arriva a Palermo quando i cronometristi e gli spettatori sono già tornati a casa. Sivocci è invece settimo, non un risultato eclatante, ma il massimo del possibile.

La loro carriera alla C.M.N. è agli sgoccioli. L’azienda infatti comincia ad avere il fiato corto: nonostante il suo impegno nelle corse non era riuscita ad imporsi sul mercato. Nell’autunno del 1920 Ferrari entra all’Alfa Romeo, precedendo di poco Sivocci (chissà se stavolta è lui a volere con sé il compagno!), e i due riprendono a lavorare e correre insieme. Per esempio alla Parma – Poggio di Berceto dell’8 maggio 1921, dove Sivocci si classifica secondo di categoria, su un’Alfa 20-30 HP sport, segnando un ottimo tempo. E’ la gara di cui la stampa (M.A.C.S. del 14 maggio) scrive: “La seria e meritata vittoria dell’Alfa Romeo. Un’équipe a modello”, elogiando anche come la squadra milanese si è presentata in gara.

“All’intera équipe era stata data un’impronta omogenea ed elegante, i corridori indossavano eleganti maglioni scarlatti, le macchine … portavano carrozzerie ben ideate e finite, verniciate di rosso fiammante, con radiatori ben sagomati, su cui risaltava dorata la marca Alfa, la parola d’ordine della vittoria”.

Il 29 maggio li aspetta la Targa Florio. I risultati sono onorevoli, Campari si classifica terzo assoluto, Sivocci quarto e Ferrari quinto; nelle pubblicità che segue la gara, l’Alfa Romeo si presenta come la casa “che occupa i primi due posti (con Sivocci e con Ferrari) nella classifica delle vetture italiane di serie”, in quanto entrambi correvano con il tipo ES sport di serie.

Sono di nuovo insieme al Circuito del Mugello del 24 luglio, dove la squadra Alfa Romeo, composta da Campari Ferrari e Sivocci, conquista i primi tre posti nella classifica assoluta, e Sivocci fa segnare il giro più veloce (58’16”, pari a 66,883 km/h, alla guida di un modello ES sport di serie). Nello stesso anno, Sivocci si presta alla Fiat per guidare una delle 801 tre litri, in squadra con Bordino e Wagner. Squadra per modo di dire, composta da piloti riuniti all’ultimo momento e senza un preciso piano organico di corsa. Non affiatati tra loro, non abituati alle vetture, in mancanza di un direttore sportivo che li coordinasse, potevano soltanto perdere, cosa che avvenne. Con l’esclusione di questa parentesi, Ugo Sivocci continua a sostenere i colori dell’Alfa Romeo.

Nel 1922 la squadra, composta da Ascari, Sivocci e Ferrari, partecipa alla Targa Florio, classificandosi ai primi tre posti di categoria, e ottenendo la Coppa Biglia e la Medaglia d’Oro del Ministero della Guerra messa in palio per il miglior risultato di équipe.

Al Circuito del Mugello il risultato è invece una débacle: quattro piloti (si era aggiunto Campari), quattro ritiri. Sivocci si iscrive anche, insieme ad Ascari (manca invece Ferrari, che da’ forfait all’ultimo momento), al Gran Premio d’Autunno, corso il 22 ottobre sull’Autodromo di Monza. Con la sua RL a sei cilindri da tre litri compie una gara regolarissima, senza neanche arrestarsi per un rifornimento, e si classifica secondo alle spalle di Dubonnet su Hispano Suiza.

Finalmente, nell’aprile del 1923, il grande colpo: la vittoria assoluta sul campo di gara più difficile del mondo, la Targa Florio.

Sivocci e Ferrari sono partiti uno dopo l’altro a soli cinque minuti di distanza, entrambi su Alfa Romeo RL di cilindrata appena superiore alla restanti Alfa in gara: 3100 cc anziché 3000 (escamotage per poter iscrivere le vetture in categorie diverse, e cogliere più opportunità di vittoria). Già dal terzo giro, su quattro complessivi, la lotta è ristretta tra Minoia su Steyr, e i due compagni di squadra Sivocci ed Ascari. La vittoria sembra profilarsi certa per quest’ultimo, in prima posizione a pochi metri dal traguardo. Invece accade l’imprevedibile. La vettura di Ascari si blocca a duecento metri dalla fine, i meccanici si affannano a farla ripartire, quando ci riescono la concitazione è tale (Ascari è ancora primo) che saltano tutti in macchina e si presentano insieme al traguardo: squalificati. Allora Ascari gira la macchina, torna al punto incriminato, i meccanici volano giù dalla vettura, riparte da solo a razzo: ma intanto gli piomba alle spalle Sivocci, lo oltrepassa e si classifica primo, dopo sette ore, diciotto minuti e tre secondi di corsa.

Una vittoria un po’ piratesca, ma pur sempre una vittoria di dimensione internazionale, che finalmente consacra Sivocci grande pilota, e lo trae dal limbo degli eterni secondi. Compaiono per la prima volta, sulla stampa, degli articoli su di lui, dove viene descritto di “una calma ed una prontezza di decisione straordinarie, che fanno di lui uno dei più regolari guidatori del momento”.

Ci si aspetta molto da lui per il prossimo traguardo: il primo Gran Premio d’Europa, in calendario per domenica 9 settembre, per il quale l’Alfa Romeo intendeva far esordire la sua nuova vettura, la P1. Dal 16 agosto la squadra al completo è sulla pista di Monza per le prove. Le riviste ne riportano i risultati (toccati più volte i 180 km/h) e Auto-MotoCiclo pubblica anche una carrellata dei migliori piloti del momento: tra questi, Ugo Sivocci, anch’egli tra i grandi campioni.

Il suo viso segnato, con tanto di coppola e vistosi baffoni, lo fanno sembrare più vecchio di quel che è, trentotto anni. E’ inevitabilmente “un pilota della vecchia guardia”. Una vecchia guardia onesta e pulita, che lavora in prima linea ma non disdegna il lavoro delle retrovie, con grande rispetto per la macchina, prestandosi la’ dove si è utili: che si tratti di fare il collaudatore, il meccanico, il pilota, il revisore. E’ l’uomo capace di fare squadra, di trasformare una compagine di talenti individuali in un gruppo affiatato e rodato. La sua morte, avvenuta l’ultimo giorno degli allenamenti, sabato 8 settembre, raggela l’animo di tutti quelli che lavorano con lui. Una fotografia, pubblicata in queste pagine, ritrae la sua macchina danneggiata, mentre viene caricata sul camion per essere portata via. Campeggia sul fianco il n. 17, esattamente lo stesso numero della vettura con cui si era ucciso l’anno prima un altro promettente pilota italiano, Biagio Nazzaro, nipote del famoso Felice. Al di la’ della superstizione, un’immagine triste, che suggella la vita di un uomo buono.

A cura di Donatella Biffignandi Centro di Documentazione del Museo Nazionale dell’Automobile di Torino (2003)

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